In questo periodo le famiglie e gli studenti dovranno scegliere se avvalersi o non dell’insegnamento della Religione Cattolica (Irc) nell’anno scolastico 2019-20; una possibilità che lo Stato, come stabilito dalla revisione del Concordato tra Santa Sede e Repubblica Italiana, offre ad ogni alunno. Per questo vi offro alcune riflessioni affinché ogni decisione non sia frutto dell’abitudine ma sia fondata su valide motivazioni.
Due osservazioni per inquadrare l’argomento.
“Dovrebbe essere ormai chiaro a tutti che questa scelta non è una dichiarazione di appartenenza religiosa, né pretende di condizionare la coscienza di qualcuno, ma esprime solo la richiesta alla scuola di voler essere istruiti anche sui contenuti della religione cattolica che costituisce una chiave di lettura fondamentale della realtà in cui noi tutti oggi viviamo” (Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana, 9 gennaio 2015).
“L’Irc intende essere un’occasione di ascolto delle domande più profonde e autentiche degli alunni, da quelle più ingenuamente radicali dei piccoli a quelle talora più impertinenti degli adolescenti. Le indicazioni didattiche in vigore per l’Irc danno ampio spazio a queste domande” (Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana, 18 dicembre 2018).
Alcune motivazioni.
Prima: “I principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico italiano” (art.9,2)*.
E’ impossibile comprendere anche parzialmente la cultura italiana e la realtà quotidiana ignorando la religione cattolica. La letteratura, la storia, la filosofia, l’arte, la musica… sono “intrise” di cristianesimo, come pure la vita di ogni giorno: dal calendario alle feste popolari, dal nome delle vie e delle piazze alle chiese e ai simboli religiosi che incontriamo in molteplici luoghi.
Seconda: “(lo Stato) riconosce il valore della cultura religiosa” (art. 9,2)*.
La cultura religiosa agevola i ragazzi, gli adolescenti e i giovani a fondare la loro vita e la convivenza civile su valori condivisibili da tutti nel pluralismo che caratterizza la società odierna: dalla fraternità universale all’operosa solidarietà, all’amore così descritto da E. Fromm: “L’amore è l’unico vero bisogno dell’uomo, l’unica valida soluzione al problema della vita” (L’arte di amare, Mondadori, Milano 1995, pg. 12).
Terza: “(L’insegnamento della religione rientra) nel quadro delle finalità della scuola” (Art. 9,2)*.
L’insegnamento della religione cattolica ha come riferimento gli obiettivi della scuola, in particolare quello di fornire agli alunni delle conoscenze da rielaborare mediante il loro ragionamento e la loro riflessione. A questo concetto riservò ampio spazio “La Dichiarazione della Presidenza della CEI del 18 febbraio 1984”. “Nella scuola l’insegnamento della religione è attenzione alla peculiarità dell’ambiente scolastico, della sua natura e finalità, dei suoi metodi di ricerca e di approfondimento, dei suoi ritmi di maturazione; è capacità di inserire il messaggio cristiano non accanto, ma dentro la cultura della scuola, anche attraverso un corretto metodo di interdisciplinarità; è assumere i problemi vivi dei giovani d’oggi e confrontarsi con loro in un dialogo non superficiale o epidermico, ma attento e costruttivo; è seguire un metodo di ricerca che non è rinuncia alle certezze della rivelazione cristiana ma paziente cammino e ricerca seria della verità col passo a volte sicuro a volte incerto dell’uomo”(n. 13). In quest’ottica, l’insegnante della religione, “può fare chiarezza” non solo sull’identità cristiana ma anche sui fondamenti delle altre religioni.
Quarta: La religione offre il giusto orientamento alla vita.
Quello che papa Benedetto XVI definì alla “bontà della vita” (21 gennaio 2008). Mostra cioè la serietà dell’esistenza come pure che ogni uomo ha un compito da realizzare. Ricordava V. Frankl: “Chi sa di avere uno scopo nella vita, un compito, ha in mano un valore che non si può uguagliare, sia dal punto di vista psicoterapeutico che dell’igiene mentale. Additare un compito ad un uomo è quanto di più adatto vi possa essere per fargli vincere ogni difficoltà interiore e ogni disgusto” (Ottimismo per vivere OK, Paoline, Milano 1994, pg. 69).
Un facile equivoco è quello di reputare “l’ora di religione” e “la catechesi parrocchiale” in medesimo insegnamento. Non lo sono. Il “catechismo” si appella alla fede e si rivolge a chi sta percorrendo un itinerario cristiano. L’ “ora di religione”, rivolgendosi alla ragione, si pone al servizio di ogni alunno credente, non credente, indifferente o ateo. Non a caso, oltre il 90% degli insegnanti di religione cattolica, non sono sacerdoti o religiosi ma laici. Però, tra i due insegnamenti, non c’è discordanza. Ricordava san Giovanni Paolo II: “L’insegnamento della religione può essere considerato sia come una qualificata premessa alla catechesi sia come una riflessione ulteriore sui contenuti di catechesi ormai acquisiti” (Discorso al Clero Romano, 5 marzo 1981).
Il compito di educare i figli anche religiosamente è della famiglia, rammentando come affermò papa Francesco che “L’educazione non può essere neutra: o arricchisce o impoverisce” (15 giugno 2015). Optare per questo insegnamento s’inserisce nel progetto educativo che i coniugi vogliono offrire ai figli per la loro “crescita globale” che comporta l’accrescimento della personalità fisica, umana, culturale e morale. Ovviamente, senza nessuna imposizione, ma il tutto motivato in un clima di dialogo aperto e sereno.
Un dato statistico: nell’anno scolastico 2015/16 l’Ora di Religione fu scelta dall’88% degli alunni (Quarta indagine nazionale sull’insegnamento della religione cattolica, edita dalla
Elledici, Gennaio 2017).
Termino queste brevi considerazioni con un pensiero dello scrittore e filosofo russo F. Dostoevskji che lascio alla vostra riflessione: “Scelgo la religione perché vivere senza Dio è un tormento… L’uomo non può vivere senza inginocchiarsi. Se rigetta Dio, si inginocchia ad un idolo: di legno, d’oro o immaginario, non cambia. La verità è che noi siamo idolatri, non atei” (Un cuore debole, Passagli, Firenze 2003, pg. 61).
Don Gian Maria Comolli
*Legge 121/1985