La nuova frontiera dell’emancipazione adulta e femminile ora è “confrontarsi” in video con dei bambini. Amelia Bonow, ad esempio, spiega sulla tv americana che interrompere la gravidanza fa parte del piano di Dio.
Il 2 gennaio Amelia Bonow cinguettava beffarda: «Il video “Kids Meet Someone Who Had An Abortion” ha ora più di un milione di visualizzazioni. Un enorme grazie a tutto il gruppo degli anti-choice per averlo ampiamente condiviso e avere esposto decine di migliaia di donne conservatrici che hanno abortito all’idea fresca e seducente che non devono odiare se stesse». Nel video, parte di una serie chiamata Kids Meet, un format prodotto da HiHo kids e basato sul confronto tra ragazzini e adulti (tra gli altri, un sordo, un sopravvissuto all’olocausto, un ventriloquo, una persona di genere “non-conforme”), Bonow spiega a ragazzini tra i 10 e i 14 anni che abortire è un po’ come andare a un appuntamento dal dentista, «vai dal dottore e loro mettono questa piccola cannuccia dentro la tua cervice e dentro il tuo utero. E poi ti succhiano fuori la gravidanza. Mi sono sentita un po’ a disagio, ma poi è finita e mi sentivo davvero grata di non essere più incinta». A un ragazzino che azzarda che i bambini indesiderati possono sempre essere dati in adozione Bonow ribatte che non si può costringere le donne a «creare la vita», «mi sentirei come se fossi forzata, di aver perso ogni diritto. Dovrei essere io a decidere se il mio corpo crea la vita. Anche se dai un figlio in adozione, hai sempre un figlio là fuori, da qualche parte, sai?».
L’ABORTO? «PEGGIO IL FILO INTERDENTALE»
Ma chi è Amelia Bonow? Una donna a cui è cambiata la vita il 19 settembre 2015 dopo aver scritto un post su Facebook che raccontava «come un anno fa ho abortito a Planned Parenthood…»: in capo a poche ore l’hashtag #ShoutYourAbortion (Grida il tuo aborto) era diventato virale e Bonow una star pro-choice chiamata da radio e tv. Al post era infatti seguito un pezzo per Salon, “My Abortion Made Me Happy”, nel quale Bonow raccontava per filo e per segno la sensazione di potere successiva al test di gravidanza nel bagno di un’amica: la prima sigaretta dopo il risultato positivo, il rapporto sessuale col compagno dopo avergli dato la notizia, la telefonata al suo professore spiegandogli che era incinta («perché fare in modo che le figure autoritarie maschili si agitino in questo modo particolare mi dà gioia»), il weekend su una Mustang decappottabile con due amici omosessuali a folleggiare a Palm Springs, e finalmente la gita al Madison Avenue Planned Parenthood e la gratitudine fino alle lacrime per trovarsi in quel posto ad «esercitare il diritto di controllare la mia stessa fertilità, circondata da estranei che mi trattavano come conoscenti, mi ha fatto sentire una delle donne più fortunate del mondo. Lo sono». L’intera “faccenda” «era finita in tre minuti. Ho avuto esperienze più dolorose con il filo interdentale»; «il mio aborto mi ha reso felice. È perfettamente ragionevole sentirsi felici di non essere stati costretti a diventare madre». In breve Bonow viene riconosciuta come quella scrittrice e attivista che vive a Seattle e che ha fondato il movimento #ShoutYourAbortion con la missione di normalizzare e celebrare l’aborto come un atto di emancipazione femminile: «Siamo in lotta per le nostre vite, ed è ora di dire la verità – spiega il sito delle attiviste elogiate dal New York Times al Los Angeles Times –. Ogni singolo giorno, tutti i tipi di persone hanno aborti, per ogni ragione. (…) L’aborto aiuta le persone a vivere al meglio la loro vita. Noi ne siamo la prova. E diventeremo sempre più forti».
«FA PARTE DEL PIANO DI DIO»
Bonow è così fissata col suo aborto da aver annunciato per il 2020 la pubblicazione del suo Shout Your Abortion anche in versione “per ragazzi”, dopo che il libro è uscito qualche mese fa per raccontare storie di un centinaio di donne che hanno abortito tra i 19 e gli 85 anni. Ragazzi come quelli del video citato, che pure dimostrano di padroneggiare l’argomento come giovani attori di una sit-com, tra risate e smorfie divertite. Quando una ragazzina si professa cattolica, Bonow le domanda se sa che cosa insegna la Chiesa sull’aborto. «Non credo che piaccia alla Chiesa, lo vede come l’omicidio di un bambino», «e tu che pensi?», le chiede l’attivista, «penso che spetti a te scegliere», «anche secondo me», ribatte un’altra piccola cattolica, «questo mi conforta!», esclama sorridendo Bonow. Che ingaggia un confronto con un ragazzino su che cosa dovrebbe pensare Dio dell’aborto: «Penso che gli stia bene, perché ci sono comunque dei bambini che nascono – dice il ragazzino –. Secondo te invece che ne pensa dell’aborto?». «Io penso che faccia parte del piano di Dio», risponde Bonow.
MA COSA C’ENTRANO I BAMBINI?
Nessun accenno medico scientifico, nessun accenno alle conseguenze fisiche o psicologiche del gesto. Sorvolando sul Dio abortista, ci chiediamo: ma i bambini cosa c’entrano con lo sforzo erculeo di un adulto che considera l’aborto alla stregua della rimozione di una carie dentale? Da quando fingere che sia una cosa del tutto irrilevante per una donna (teoria che fa pure un po’ a cazzotti con le testimonianze di migliaia di donne che hanno scelto la stessa strada di Bonow), cioè raccontare la più grande bugia dell’aborto a dei bambini, dovrebbe essere segno di emancipazione, potere e diritto femminile? Già, i bambini e i diritti. Gianna Jessen, sopravvissuta a un aborto salino, ha risposto al video di Bonow: «Da persona nata in una clinica per aborti, col risultato di una paralisi cerebrale, e da donna, mi piacerebbe poter parlare a questi ragazzini da un’altra prospettiva, quella del bambino abortito. Dove erano allora i miei diritti?».
Caterina Giojelli
8 gennaio 2019