Le percosse dei teppisti, la lesione al cervello, e ora l’impegno civile: parla la madre di Marin, 20enne francese insignito della Legion d’Onore.
Marin Sauvajon – Con l’associazione «A testa alta» il giovane si batte contro la solitudine di chi soffre di handicap cognitivi La mamma Audrey: «Insieme scopriamo che aprendoci agli altri riceviamo aiuto. Alla società urge questo»
Si può raggiungere la felicità senza quella molla che spinge a privilegiare, nei momenti decisivi, la fratellanza? L’11 novembre 2016, per temperamento e convinzioni, Marin, 20 anni, ha scelto di non abbassare lo sguardo. A Lione, su un autobus, una coppia è aggredita da una banda. Marin reagisce e s’interpone. Colpito selvaggiamente al capo, cade al suolo, finendo in coma per settimane. La diffusa emorragia cerebrale costringe i chirurghi ad asportare porzioni d’encefalo.
Marin scampa alla morte, ma pagando a caro prezzo il suo coraggio. Lo studente brillante che superava gli esami come un atleta è adesso menomato. Ma il messaggio di speranza lanciato con il suo gesto non è rimasto senza frutto. Da allora, anzi, non smette d’accendere le coscienze. Due anni dopo, la vita di Marin ha preso una luce imprevista, nutrita ogni giorno da ingredienti che restano in lui abbondanti: la voglia di non gettare la spugna, la fede nella luce al termine di ogni tunnel, l’affetto dei cari, incontri sempre più numerosi, anche con papa Francesco, nell’aprile dell’anno scorso.
«A testa alta»: si chiama così l’associazione di solidarietà creata attorno a Marin, appena insignito della Legion d’onore dal presidente Macron. Raccontando ad Avvenire i nuovi orizzonti che si sono schiusi, Audrey Sauvajon, madre di Marin, invoca «più tolleranza e più umanità nelle nostre società». Due anni di battaglie, e già molti frutti: «Il primo è la rieducazione di Marin – ci spiega Audrey – per permettergli di avere quante più chance possibili. Ha la fortuna di essere seguito da persone incredibili in un centro vicino a Lione. Con l’associazione abbiamo creato un cofanetto per il risveglio dei sensi di chi ha subìto lesioni cerebrali. Lo distribuiamo alle famiglie che assistono un loro caro in coma». Attorno, l’affetto e l’interesse sono enormi: «Riceviamo di continuo tantissimi messaggi di sostegno. Mi colpiscono molto le testimonianze di chi ci dice di essere stato aiutato dall’esempio di Marin. Sono anche sorpresa e commossa dai giovani genitori che hanno voluto dare al loro figlio il nome di Marin».
E adesso, la Legion d’onore… «È un riconoscimento al coraggio di Marin. Leggiamo di continuo sui giornali di aggressioni durante le quali nessuno osa reagire. L’esempio del gesto di Marin risuona perché è solo reagendo assieme che una società resta unita. Non tutti hanno il coraggio d’interporsi, certo. Ma si può tentare almeno di fare qualcosa, come allertare le forze dell’ordine». Anzitutto, quindi, restare a testa alta: «Il nome dell’associazione ha un duplice significato senso. Invita a non abbassare lo sguardo e a intervenire, ma ricorda pure il nostro impegno per chi soffre di lesioni cerebrali.
È il cuore della nostra lotta». E il cofanetto, con aromi e unguenti? conta molto. «È un modo per dire ai genitori che hanno un ruolo importante da svolgere, per il loro caro e per loro stessi. Nel testo che alleghiamo l’ultimo capitolo è sul dono di sé. È un circolo virtuoso: aiutare gli altri ci aiuta. Donando, riceviamo ». Verso quanti patiscono una disabilità dovuta a lesioni permangono resistenze: «Sì, era lo stesso per me prima di quanto è accaduto a Marin.
L’handicap spaventa perché modifica le reazioni, il comportamento, il carattere. Occorre battersi ogni giorno per permettere che chi soffre sia meglio accettato. Ciò significa pure creare strutture di recupero più vicine». Quanto ai casi di genitori che sperano nel risveglio di un figlio in stato vegetativo, come Vincent Lambert, la mamma di Marin dice che «non abbiamo il diritto di giudicarli. Avendolo vissuto, posso dire che ci si aggrappa a tutto.
È troppo difficile pensare che sia finita, non si può impedire a un genitore di sperare». Audrey dice di ispirarsi al modello «dei due nonni partigiani. Era un’altra lotta, certo, ma mi nutro interiormente pensando al loro coraggio. Sono stata anche molto aiutata da una psicoterapeuta incredibile e soprattutto ho la fede che mi dà voglia di battermi, che mi permette di andare avanti. Senza questa risorsa, avrei avuto grandi difficoltà». Una dimensione spirituale condivisa col figlio, che la vive in modo «davvero considerevole, ma su questo non voglio parlare al suo posto».
L’incontro con Marin cambia lo sguardo della gente: «Scorgo spesso reazioni molto intense. Le persone sono colpite dalla sua lotta e dalla sua personalità. Alcuni tornano a concentrarsi sull’essenziale. Marin ha un coraggio fuori dal comune nel battersi contro l’handicap, ma anche per aiutare gli altri. Resta in contatto con tanti, desidera profondamente il loro bene. È dolce, gentile e la gente resta colpita pure dalla sua capacità d’ascolto. È sempre stato molto attento agli altri e impegnato nella società per tentare di cambiarla. Adesso, questi suoi tratti sono ancora più forti».
Daniele Zappalà
10 gennaio 2019
https://www.avvenire.it/famiglia-e-vita/pagine/mio-figlio-reso-disabile-d-luce-a-tanti