In Cina, per studiare, è obbligatorio essere atei

Col comunismo non c’è intesa che tenga, bisogna prenderne atto. E la conferma giunge proprio dalla Cina, dove, dalla metà dell’anno scorso, le autorità fanno pressioni sugli studenti, affinché abbandonino le pratiche religiose, facendo firmare loro una rinuncia alla propria fede – di fatto un’abiura, anche se estorta sotto costrizione – ed a promuovere l’ateismo.

I minori, che hanno osato avanzare critiche in merito, sono stati aggrediti e malmenati dai loro insegnanti, mentre le famiglie sono state minacciate: qualora non avessero impartito un’educazione assolutamente atea, i loro figli sarebbero stati bocciati, i loro studi si sarebbero interrotti con un fallimento certo, per loro non vi sarebbe stato alcun futuro didattico.

Lo scorso 13 settembre la direzione della scuola elementare di Quanzhou ha inviato una circolare a tutti i genitori, affinché si impegnassero per iscritto assieme ai loro ragazzi a resistere a qualsiasi «insegnamento eterodosso», termine ambiguo, che di fatto però include anche la formazione religiosa. Un 12enne ha preferito sbarazzarsi di quel modulo, prima di mostrarlo in casa, ma è stato sorpreso, picchiato dal suo docente, spinto contro uno spigolo di metallo e poi costretto a firmare un’altra copia di quella circolare. Un altro bimbo di 9 anni ha tentato di rifiutarsi, ma è stato preso a calci nel ventre.

A tale repressione si aggiunge il divieto assoluto, in molte località, di assumere persone credenti quali maestri per le scuole materne, l’espresso divieto di partecipare a celebrazioni religiose da parte degli studenti della scuola dell’infanzia, della scuola primaria e di quella secondaria di Pingdu e le minacce di espulsione rivolte agli scolari delle elementari di Shenyang.

A novembre una scuola secondaria di Nehe ha obbligato docenti e alunni a firmare uno striscione inneggiante al «rifiuto della religione nel campus». Alcuni insegnanti condizionano la presentazione agli esami al fatto che i candidati abbiano o meno rinunciato pubblicamente alla propria fede, segnalano gli studenti che si rivelino credenti e raccolgono dati sulle loro famiglie, per far poi promuovere rappresaglie.

Secondo un rapporto, pubblicato dalla rivista Bitter Winter, tale forma radicale di propaganda «non solo è disumana, bensì viola anche l’art. 14 della Convenzione delle Nazioni Unite, secondo la quale gli Stati membri» devono rispettare «i diritti ed i doveri dei genitori e, se del caso, dei tutori legali», affinché «orientino il bambino nell’esercizio di un suo diritto in modo proporzionato alla sua capacità evolutiva».

Ma è evidente come, alle autorità comuniste cinesi, patti, accordi e convenzioni non interessino.

18 febbraio 2019

In Cina, per studiare, è obbligatorio essere atei