Mamardašvili, Uminskij: pensatori russi che hanno ripensato l’importanza esistenziale della verità per l’io, contro ogni deformazione nazionalistica.
“La verità è più importante della patria”. Le parole del filosofo Merab Mamardašvili (1930-1990) cadono in un uditorio intento, sospeso, fatto di giovanissimi che gremiscono la sala del Centro culturale “Biblioteca dello spirito” a Mosca. Fin dal giorno prima ci eravamo accorti di qualcosa di insolito, perché l’evento sulla pagina Facebook dedicata segnalava circa un migliaio di persone interessate o intenzionate a partecipare. Come mai attira tanto un filosofo scomparso ormai quasi trent’anni fa, che si è dedicato per tutta la vita a ricerche su autori “classici” (Cartesio, Kant, Proust) nell’ambito dell’accademia delle scienze, dell’università e di riviste specializzate? Un filosofo che non ha scritto opere capitali, ma ha affidato quasi interamente il suo pensiero alle lezioni, da lui sempre svolte in forma dialogica (tanto da valergli lo scherzoso epiteto di “Socrate russo – o georgiano)”?
La verità viene prima della patria. Non erano parole da nulla, nel contesto patriottico-imperialista sovietico in cui Mamardašvili le pronunciò, ma neppure oggi lo sono, nel clima internazionale fortemente contraddistinto da nazionalismi e sovranismi. E neppure in Russia, di fronte – per fare qualche esempio – ai recentissimi passi del governo in direzione di una rete internet nazionale autonoma (motivata come una difesa degli interessi del paese da ingerenze straniere, ma che ovviamente potrebbe trasformarsi in una barriera censoria), come pure ai contenuti del discorso annuale di mercoledì scorso di Putin al Parlamento, che ha puntato ancora una volta sull’orgoglio nazionale e sul rafforzamento degli armamenti in risposta alla “volontà di dominio globale” degli Usa.
Già, ma quale verità? Che cos’è la verità? Non si è ancora spenta l’eco di questa domanda risuonata duemila anni fa. Nel contesto del materialismo sovietico Mamardašvili ha avuto il coraggio di mettere al centro della sua riflessione filosofica la coscienza personale, di restituire alla verità – ridotta di volta in volta da razionalismi e ideologie a un distillato di verità teoriche o di dogmi – il suo spessore di “condizione” (esperienza) vissuta dall’io nell’unica dimensione che gli è propria, l’“eterno presente” di un campo di forze che ha come attori la persona e la storia, e in cui il cristianesimo costituisce l’avvenimento “perno” della cultura europea.
È questo tema della persona e della verità intesa come esperienza personale (Dio non crea l’umanità – dice ancora Mamardašvili – Dio crea me, cioè istituisce sempre e solo rapporti personali), a spiegare un così sorprendente afflusso di giovani a una lezione di filosofia? Non lo so, ma posso constatare che oggi molte delle menti più acute della cultura e della Chiesa russa – forse per quel principio secondo cui, se la barca affonda da un lato, bisogna buttarsi sull’altro – avvertono il bisogno di riproporre lo stesso principio “personale” che in epoca sovietica era stato la chiave della rinascita promossa dal movimento del dissenso, come antidoto ai veleni di nazionalismi, pseudopatriottismi e sovranismi. Non per negare, ma per ricomprendere – alla luce del valore della persona – anche il senso della patria e del patriottismo.
L’ha espresso con molta chiarezza il sacerdote ortodosso Aleksej Uminskij, ancora una volta alla “Biblioteca” di Mosca, in occasione della presentazione del libro di padre Andrej Kordočkin, Può un cristiano essere patriota?: “Se Cristo vivesse oggi, sarebbe un profugo, un rimpatriato. Furono proprio i ‘patrioti’ a condannarlo alla morte in croce… Neanche una volta giudica i pagani, i cesari di Roma, tutti coloro che si trovano al di fuori dello Stato in cui vive. Anzi, guarisce il servo dell’occupante romano, guarisce la figlia della cananea… Nel contesto dello slancio patriottico presente allora in Israele, Cristo provoca grande scandalo quando porta come esempio i samaritani, i traditori. Un po’ come se noi ortodossi oggi portassimo a esempio i Testimoni di Geova…”. Stiamo assistendo a una distorsione del concetto di patria e di patriottismo, “un termine ormai bruciato e falso, divenuto strumento di manipolazione e causa di odio, spesso collegato al militarismo”, privato di un valore positivo e ridotto ai muri, ai “confini”. Ma Dio non ha fatto così – ha proseguito Uminskij – “non ha creato un mondo suddiviso in Stati: “Del Signore è la terra e quanto contiene: il mondo, con i suoi abitanti” (Sal 24,1). Dio non ha creato il mondo in cui viviamo così com’è. Quello che vediamo è un prodotto del peccato originale”.
Le sorprese non mancano neppure in provincia: una conoscente, un po’ sconcertata, mi riferisce che qualche giorno fa a una riunione in parrocchia il parroco, padre Aleksej Potockij, ha chiesto ai fedeli: “È più importante la tua felicità personale o il bene del paese?”. Tutti si sentono in dovere di rispondere, più o meno sinceramente: “Il bene del paese, è chiaro!”. Ma il parroco ribatte: “No! La tua felicità! Se non cominciamo dal bene, dalla felicità di ogni singola, concreta persona, non potremo mai costruire nulla per l’umanità”. Proprio da questa tenerezza per la persona, ogni persona (“tu sei prezioso ai miei occhi”, Is 43,4) inizia la quotidiana avventura di trasfigurazione del mondo operata dal cristianesimo in ogni epoca e contesto.
Giovanna Parravicini
25.02.2019
https://www.ilsussidiario.net/editoriale/2019/2/25/i-sovranismi-e-la-persona/1852116/