Il 10 marzo di 15 anni fa entrava in vigore il provvedimento ‘trasversale’ per mettere regole alla provetta
Secondo gli ultimi dati del Ministero della Salute, nel 2016 il 2.9 per cento del totale dei bambini nati (ossia 13.582) è stato concepito grazie alle tecniche di fecondazione artificiale. Un dato all’apparenza non irrisorio, pur tuttavia neanche troppo entusiasmante se si considera che le coppie trattate sono state 77.522 e i cicli iniziati 97.656: nel dettaglio, 91.409 con l’omologa e 6.247 con l’eterologa. Per far fronte a queste prestazioni, esiste un Fondo apposito, per un importo pari a 6.800.000 euro ed è ripartito annualmente tra le Regioni (in base al disposto del decreto ministeriale9 giugno 2004).«Dal 2018 – spiega il Ministero – il fondo per la procreazione medicalmente assistita (capitolo 2.440) è stato definanziato, pertanto l’ultimo anno di liquidazione risulta il 2017 in cui è stato trasferito alle Regioni con decreto ministeriale 14 novembre 2017, per un importo totale di 459.642,00 euro». In ogni caso, al di là dei risultati ottenuti con la Pma e dei relativi costi a carico del Servizio sanitario nazionale, non si può di certo negare che se oggi è possibile conoscere questi dati lo si deve soprattutto alle «Norme in materia di procreazione medicalmente assistita », la legge n. 40 del 19 febbraio 2004, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 24 febbraio ed entrata in vigore il 10 marzo. Quindici annifa, dunque.Presentata da Giancarlo Giorgetti (Lega Nord Padania), passò con 277 voti favorevoli (222 i contrari, 3 gli astenuti). «La 40 è l’unica legge su temi etici in cui si è raggiunta una mediazione e non è stata l’espressione solo della parte più cattolica, che sicuramente avrebbe voluto una legge più restrittiva – ricorda la relatrice,Dorina Bianchi (allora nell’Udc) –. La discussione nacque in un momento di completa deregulation. Non esistevano regole specifiche da rispettare, non c’era l’obbligo di far verificare la scientificità e la sicurezza da parte del Ministero della Salute. Non c’erano limiti alle tariffe e non c’era un registro nazionale dei centri con iscrizione obbligatoria ». A distanza di 15 anni, Bianchi invita a considerare che la legge ha permesso di stabilire «paletti che salvaguardano la vita, riconoscendo al nascituro la dignità di persona. In questi anni la legge ha avuto anche l’effetto di aumentare la sensibilità degli operatori che hanno sviluppato tecniche meno invasive per le donne che si sottopongono a queste metodiche oltre a tecniche per limitare la produzione di embrioni in eccesso».
Con l’avanzare delle tecnologie in quegli anni, come ricorda ilcardinale Elio Sgreccia, dal 1994 al 2005 vice presidente e poi presidente fino al 2008 della Pontificia Accademia per la Vita, preoccupava molto «la mancanza di regole che metteva a rischio proprio la dignità del nascituro oltre che la salute delle donne. Temi sensibili che devono essere primari anche oggi, considerato il calo delle nascite e il gran numero di aborti». Non è un caso se la legge 40 ha subìto innumerevoli attacchi per svellere quei paletti che si tentò di salvaguardare con un voto trasversale. Si cominciò con i referendum abrogativi, vanificati dall’astensione di massa degli italiani: solo il 25,5 per cento si recò alle urne, un record, e malgrado una campagna accesissima.
Mondo cattolico e parte di quello scientifico si mobilitarono per un’informazione completa e non aprioristica. Tra loro, il genetista Bruno Dallapiccola, dal 2005 al 2012 copresidente nazionale dell’associazione Scienza & Vita, nata proprio in quel periodo. «A distanza di anni ritengo ancora che la battaglia che abbiamo fatto allora per la legge è stata giusta. La legge, pur nelle sue imprecisioni – spiega Dallapiccola –, forse era una delle migliori che si potessero fare in quel momento. Probabilmente oggi, con lo scenario attuale, ci si dimentica della giungla di allora attorno alla tematica della riproduzione assistita. Quella legge aveva provato a fare un po’ d’ordine, mettendo paletti che poi via via sono saltati per decisione di giudici che hanno così stabilito il destino della riproduzione assistita italiana». Sono state infatti 38 le sentenze a tutti i livelli che dal 2004 al 2016 hanno compromesso una parte dell’impianto originario della legge. «La 40 è stata modificata soprattutto per opera della Corte costituzionale che, sulla base di parametri che non richiamano mai l’articolo 30 della Costituzione italiana sulla filiazione, ha ritenuto tra l’altro di introdurre in Italia la fecondazione eterologa – spiega Andrea Nicolussi, ordinario di Diritto civile dell’Università Cattolica di Milano –. Peraltro laCorte non ha tenuto conto della Corte europea dei diritti dell’uomo che invece aveva considerato legittimo il divieto della legge austriaca sulla fecondazione eterologa ». In effetti, la legge 40 «ha tentato di istituire limiti alla tecnica applicata sul corpo dell’uomo, in funzione della dignità del nascere e quindi della tutela del bambino. Questi limiti sono però venuti meno proprio con la fecondazione eterologa che introduce una nuova idea di tipo volontaristico nel campo della fecondazione, nella quale si attinge al mercato di gameti di persone terze, generando così forme di ‘poli-genitorialità’». Va ricordato comunque, prosegue il giurista, che «rimane il divieto di maternità surrogata, pratica chevìola il principio di dignità umana della donna e dei bambini resi oggetto di acquisto, aggirato però attraverso lo strumento del ‘turismo riproduttivo’ che mette gli ordinamenti giuridici di Paesi diversi in competizione fra di loro». Infatti, «gli ordinamenti che stabiliscono limiti sono pregiudicati da quelli che invece li eliminano. La Corte costituzionale – prosegue Nicolussi, esperto di temi bioetici – ha anche introdotto la possibilità di diagnosi preimpianto per le coppie portatrici di malattie geneticamente trasmissibili, rimettendo però la definizione di tali malattie al Parlamento, al quale spetta il grave compito di evitare che si scivoli verso una eugenetica dai risvoltiinquietanti».Dal punto di vista scientifico «il vero problema – sottolinea Riccardo Marana, ginecologo del Policlinico Gemelli di Roma – è che si è data la falsa illusione che grazie alla fecondazione medicalmente assistita si potesse avere un figlio a qualsiasi età. Dopo i 35 anni le possibilità invece diminuiscono notevolmente, sia per l’invecchiamento biologico degli ovociti e la diminuzione del loro numero, sia perché con gli anni ci si espone al rischio di fattori ambientali o infettivi ». Così come viene diffusa un’altra falsa illusione «con ilsocial freezing, di moda negli Stati Uniti», ovvero la pratica di congelare i propri ovociti per poter far carriera, e poi usarli quando la propria vita professionale e sociale sarà considerata soddisfacente. «Le donne però – dice Marana – non sanno che per ogni ovocita che scongeli le possibilità di gravidanza sono bassissime».
La procreazione assistita, dice la senatrice Paola Binetti, che fu copresidente di Scienza & Vita con Dallapiccola, «si è evoluta nel tempo fino ad allargarsi alla fecondazione eterologa, pratica che comporta molteplici problematiche rispetto alla maternità biologica. Si pensi poi al limite originario al numero di embrioni che si potevano formare, limite che purtroppo è stato divelto per via giudiziaria, con la nefasta conseguenza che in questi anni sono cresciuti in modo esponenziale gli embrioni congelati », vite umane dal destino incerto.
Grazia Melisa
Avvenire, E’ Vita del 7 marzo 2018