Tutto è bene quel che finisce bene, recita un antico adagio che pare decisamente adatto per descrivere la notizia con cui, nei giorni scorsi, si è avuto conferma del fatto che l’Ordine degli psicologi della Lombardia ha archiviato il procedimento a carico dello psicoterapeuta Giancarlo Ricci, che aveva parlato del positivo e irrinunciabile ruolo educativo della coppia genitoriale tradizionale, come tocca specificare oggi, vale a dire quella composta da padre e madre.
L’intera vicenda ebbe inizio tre anni or sono, quando l’Ordine degli psicologi della Lombardia mise sotto accusa Ricci – psicoterapeuta milanese con 40 anni di esperienza sulle spalle e autore di numerosi e apprezzati volumi – per aver difeso, citiamo testualmente, «la funzione essenziale e costitutiva di mamma e papà». Alla fine, come si diceva, si è giunti all’archiviazione dato che, in sede di votazione, il Consiglio si è diviso – 7 a favore e 7 contro – e quando si raggiunge un simile equilibrio di parità vince il favor rei. Ciò nonostante, se il caso Ricci dal punto di vista formale si è concluso, rimangono – è stato detto – «irrinunciabili perplessità in ordine a orientamenti dottrinali e scenari metodologici a cui le affermazioni di Ricci potrebbero voler fare riferimento». Da questo punto di vista, insomma la nostra gioia per l’assoluzione dello psicoterapeuta milanese merita di essere ricondotta a una più contenuta soddisfazione.
Senza dimenticare un altro aspetto, e cioè che, al di là di come tutto si è concluso, appare gravissimo che uno stimato professionista sia finito di fatto in stato d’accusa per aver solamente ribadito l’ovvio, ossia che papà e mamma sono figure fondamentali per la crescita di un figlio. Tanto più che scientificamente le pubblicazioni che sembrano dire altro, enunciando la non necessità della compresenza della figura paterna e materna, appaiono quanto meno opinabili.
Facciamo un esempio. In un articolo uscito nel 2015 sulla rivista Medico e Bambino si lasciava intendere la non indispensabilità di padre e madre per la crescita equilibrata di un figlio. Gli studi chiamati in causa per dimostrare questa tesi? Tre soltanto.
Dal primo, a cura dell’American Academy of Pediatrics (Pediatrics, 2013), si apprendeva come la letteratura di oltre 30 anni avrebbe oramai fornito «robuste, affidabili e valide garanzie» sul benessere dei bambini cresciuti da genitori dello stesso sesso. Peccato che le note a cui si rinviava chi volesse comprendere meglio di quali «robuste, affidabili e valide garanzie» si stesse parlando, si esaurissero – abilmente mescolate a tantissime altre, quasi che la quantità fosse qualità – in un documento del 2005 e in un libro di tredici anni fa. Tutto qui: un po’ poco per far trionfalmente parlare di «robuste, affidabili e valide garanzie», no?
Una seconda rassegna citata nel report (Journal of Marriage and the Family, 2010), che attesterebbe miglior benessere in figli di madri e coppie lesbiche rispetto ad altri, non soltanto scontava dei limiti metodologici ma somigliava a una forzatura dato che gli stessi autori, Biblarz e Stacey, avevano ammesso che, per ogni studio che avrebbe rilevato una differenza positiva in favore di detti figli, ve ne sono almeno quattro che questa differenza non hanno rilevato affatto.
Il terzo lavoro (Pediatrics, 2010), esaltato come «uno degli studi prospettici più importanti», da un lato si basava un campione assai ridotto (appena 78 ragazzi) e non rappresentativo di figli, dall’altro era stato condotto rilevando la capacità genitoriale delle madri lesbiche – in larga maggioranza di classe agiata e con elevato tasso di istruzione – con interviste e questionari aperti, cioè chiedendo ai soggetti di valutare se stessi.
Tutto questo per dire che non sono certo Giancarlo Ricci e le sue tesi – di assoluto buon senso e realismo – che dovrebbero essere messe sotto indagine, ma semmai ben altre. Vale a dire quelle che pretendono, per pura ideologia, di liquidare la famiglia tradizionale come qualcosa di superato, quando non lo è affatto.
Giuliano Guzzo
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