Nel silenzio generale dei media, i Balcani tornano in uno stato di allerta a bassa intensità, come già capitato alla fine degli anni ’80, preludio degli scontri fratricidi che hanno segnato la sanguinosa dissoluzione della Jugoslavia. Dopo l’arresto e la detronizzazione di Slobodan Milošević (con conseguente castrazione delle velleità politiche serbe nella regione), la penisola balcanica è riuscita a trovare un precario equilibrio, spezzettata in sette Stati autonomi (compreso il controverso Kosovo) attraversati da numerosi problemi sociali, dal livello di sviluppo per nulla paragonabili all’economia jugoslava, nonché dal peso politico molto limitato. Preda delle mire di Nato, Russia, Cina e Turchia, i Balcani sono diventati oggetto di contesa dell’ennesimo “grande gioco” internazionale. Ed in mezzo a queste pericolose manovre, il rischio di spezzare il precario equilibrio politico-linguistico-etnico è davvero molto alto. La miccia che potrebbe innescare un pericoloso effetto domino è rappresentata dalla Macedonia, dal trattato di Prespes e dal suo ingresso nella Nato, con successive ripercussioni sul Kosovo ed, ovviamente, sulla Serbia. Da Skopje a Sarajevo, i Balcani sono in stato di silenziosa ebollizione, complice un’opinione pubblica europea distratta.