La presenza del monachesimo, lungi dall’essere una “condanna” del mondo, è un invito positivo a costruire una civiltà che poggi su solide fondamenta. Per questo esso, come il Vangelo, è sempre di “attualità”. La storia ha ampiamente dimostrato come l’impostazione di vita che San Benedetto, padre del monachesimo occidentale, diede ai suoi monaci con la sua “piccola” Regola, sia stata una grande forza civilizzatrice per i Paesi dell’Europa e, di riflesso, per tutto il mondo.
Nel giorno della morte di madre Anna Maria Cànopi, badessa emerita del monastero di clausura dell’Isola di San Giulio, riproponiamo una riflessione da lei scritta per il Sir il 9 giugno 2006.
L’ultimo ambito di riferimento per la testimonianza della speranza indicato dalla Traccia di riflessione per il Convegno ecclesiale nazionale di Verona è quello della cittadinanza. Tipico della cittadinanza – afferma il documento – è da una parte “l’idea di un radicamento in una storia civile, dotata delle sue tradizioni e dei suoi personaggi”, dall’altra il suo “significato universale di civiltà politica”.
La cittadinanza comporta cioè una dimensione locale e una dimensione mondiale; le sfide più grandi che le stanno di fronte quella della solidarietà, come pure quelle delle grandi problematiche internazionali quali la giustizia, la pace, l’immigrazione, la tutela dell’ambiente. Chiariti così i termini, risulta subito evidente che pure il monachesimo può e deve offrire, anche a questo livello, una sua specifica e necessaria testimonianza. Lo fa innanzitutto con la sua stessa presenza, poiché una comunità monastica è certamente un inquietante interrogativo posto al materialismo che dissacra la vita e a tutte le forme di idolatria che degradano l’uomo asservendolo alle cose.
I monaci ricercano l’Assoluto – Dio – mediante la scelta di una vita povera e umile, casta e obbediente, nella stabilità della comunione fraterna. Separati da un mondo che è dominato dalla mentalità efficientista e da un esasperato individualismo che porta quindi all’attivismo e all’esteriorità, essi costituiscono un richiamo ai valori essenziali dello spirito e della interiorità, secondo il messaggio evangelico.
La presenza del monachesimo, lungi dall’essere una “condanna” del mondo, è un invito positivo a costruire una civiltà che poggi su solide fondamenta. Per questo esso, come il Vangelo, è sempre di “attualità”. La storia ha ampiamente dimostrato come l’impostazione di vita che San Benedetto, padre del monachesimo occidentale, diede ai suoi monaci con la sua “piccola” Regola, sia stata una grande forza civilizzatrice per i Paesi dell’Europa e, di riflesso, per tutto il mondo.
È proprio a questi perenni valori che oggi si appellano quanti nutrono la speranza di poter ritrovare le genuine radici dell’unità europea per realizzare anche un’autentica comunità internazionale. Basti pensare all’alto concetto che San Benedetto ha della persona evangelicamente vista come presenza del Cristo stesso; concetto ispiratore delle relazioni fraterne nella vita comune, dell’autorità intesa come servizio, della preghiera come espressione del primato riconosciuto a Dio, del lavoro come solidarietà con tutti gli uomini, della natura come ambiente vitale su cui non esercitare un potere arbitrario.
Si può affermare che la vocazione monastica, proprio perché tende a realizzare una vita di piena comunione nella concordia e nella pace, è particolarmente chiamata a risplendere, nella Chiesa e nel mondo, come vita pasquale, come profezia dei cieli nuovi e della terra nuova.
Quando è santa come deve esserlo, la vita dei monaci evangelizza semplicemente con l’essere già tutta orientata al fine di ogni vita umana. Siamo, infatti, tutti cittadini della terra in viaggio verso la cittadinanza definitiva del Regno dei cieli. I monaci – diceva un antico Padre – sono coloro che vivono sulla terra consapevoli di avere tutti i loro “affari in cielo”. Perciò, pur vivendo con realismo nel presente, fanno in modo che tutto porti frutto per l’eternità, che tutto dia gloria a Dio.
In questa prospettiva anche l’ascesi più austera si illumina di gioia e ogni umana angoscia fiorisce in speranza.
La ricerca appassionata del Signore fa sentire soave il giogo e leggero il peso della fatica quotidiana che sempre l’umana esistenza comporta. Il carisma specifico del monachesimo, che consiste essenzialmente nell’affermare il primato di Dio e quindi della dimensione trascendente dell’uomo, non pone i monaci fuori dalla storia; essi sono invece intensamente partecipi di tutte le vicende umane e dei grandi problemi che in ogni epoca travagliano i popoli.
Vi sono presenti nel modo loro proprio, anzitutto con la preghiera, resa efficace dalla santità, dall’amore che li crocifigge al mondo stesso per salvarlo.
I monaci non si ritirano dal mondo perché lo disprezzano, ma se ne distanziano per poterlo vedere e amare dalla parte di Dio. La vita monastica contemplativa non è assenza di attività e estraneità alla vita sociale, bensì un modo di offrire a Dio il culto in spirito e verità e di stare accanto a tutti gli uomini come “sostegno” di carità e “segno” del giusto orientamento della strada che conduce tutti insieme alla salvezza.
Anna Maria Cànopi ( abbadessa emerita dell’Abbazia Benedettina “Mater Ecclesiæ” – Isola San Giulio, Orta -Novara)
21 marzo 2019
http://www.agensir.info/chiesa/2019/03/21/i-monaci-non-si-ritirano-dal-mondo-perche-lo-disprezzano-ma-per-vederlo-dalla-parte-di-dio/