Una normale Messa domenicale e la sorpresa di cogliere in un passo del Vangelo un nesso mai visto prima. La Parabola del Figliol prodigo e la carestia che si abbatte sul paese lontano, straniero. Parla anche di noi, del nostro tempo che vuole liberarsi dei più deboli e non sa che invece sono loro la fonte più abbondante di grazia e persino di ricchezza!
Domenica abbiamo partecipato alla Santa Messa. Non una grande notizia, si potrebbe commentare. Invece, già scrivendone soltanto e ripensando alle cose enormi che sappiamo accadere in quei misteri celebrati, lo è eccome. Lo è anche quella piccola e più trascurabile che questa volta siamo arrivati in perfetto orario.
Soprattutto considerando il fatto, che poteva essere impugnato come attenuante, che avevamo al nostro seguito due figlie in più, ovvero due cugine che sono anche le BFF (best friend forever) delle nostre figlie (la qual cosa è naturalmente motivo di bisticci, che proseguono anche dopo che tutti abbiamo preso posto nei banchi e si è deciso, non senza qualche malumore, chi debba stare vicino a chi. E comunque gnè gnè, sorella!).
Eccoci, dunque. Vestiti bene, profumati, qualche capello comunque fuori posto (le mie figlie erano indubitabilmente quelle più spettinate della navata sinistra), genuflessione fatta, due chiacchiere furtive, ma nulla più. Letture, salmo, Vangelo.
Domenica è toccata la arcinota Parabola del Figliol Prodigo. Quante volte l’abbiamo sentita declamare? Quante volte, io, l’ho ascoltata e meditata davvero?
Senza ingaggiare crociate di auto colpevolizzazione, mi, ci basti pensare che la vita, a lasciarla fare, è in grado di approfondirci lo sguardo e di offrirci casse di risonanza della sempre identica e sempre nuova Parola del Signore.
Così è capitato a me proprio ieri e la cosa mi ha al punto colpito che ho dovuto estrarre dalla borsa un quadernetto, cangiante e luccicoso come si conviene, sul quale appunto cose che temo di dimenticare. Perché ho sentito per la prima volta un passaggio che fino ad allora avevo concepito solo come dettaglio narrativo secondario.
Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto. Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno (dal Vangelo di San Luca, capitolo 15).
Fino ad allora, l’esaurimento delle sostanze del figlio più giovane e impaziente di godersi l’eredità del Padre e la successiva carestia che colpisce quel paese lontano, mi erano parsi due fatti soltanto contigui; semmai una sequenza che mostrasse quanto dura si stava facendo la situazione per il poco lungimirante ragazzo.
E se invece la carestia fosse la conseguenza diretta dello sperpero che compie il figlio? dell’aver dato fondo a tutti i beni che ha preso dalla casa del Padre e ha portato in terra straniera? Se Cristo ci stesse insegnando, di nuovo, che i talenti sono solo di Dio, che ogni bene viene solo da Lui, che senza stare attaccati alla Vite diventiamo secchi e inaridiamo il suolo circostante col fuoco che si farà di noi?
Se ci stesse dicendo che tutte le terre, persino le più lontane e straniere, traggono beneficio dall’uso intelligente e generoso dei beni di cui i figli di Dio dispongono?
Se ci stesse ricordando ancora e ancora che dal disastro spirituale scaturisce inevitabilmente una catastrofe che ricade su tutto, persino sul tenore di vita che noi e i nostri fratelli uomini, persino i più ignari di Dio e del Suo amore sconfinato, riusciamo a rimediare?
Mi spiace se posso risultare pesante, ma sono anni che rimugino su un tema che mi sta particolarmente a cuore; mi ci sta proprio conficcato dentro. Il valore preziosissimo dei bimbi malati. E lo sguardo che la società, ma prima la Chiesa, dovrebbero avere con loro. Non credo serva aumentare l’inclinazione compassionevole, il sentirli speciali, il soccorrerli tanto platealmente quanto sporadicamente. Credo sia invece necessario e particolarmente furbo, oltretutto, metterli al centro, in alto, portarli in trionfo.
Sono oggettivamente, sebbene misteriosamente, la fonte di benedizione e persino di benessere più generosa ed espansiva a nostra disposizione, qui sulla terra. Sono il rubinetto di grazia più pulito e abbondante, e privo delle tante incrostazioni di calcare che ostacolano l’azione di Dio in noi (come quelle che ho io sul mio cuore).
Non dico niente di sostanzialmente nuovo, me ne rendo conto. Lo sto solo formulando a partire dalla mia vita, da ciò che Dio ha voluto accadesse nella vita mia e dei miei più cari. Potrebbe essere, questa considerazione, imprecisa e molto probabilmente parziale. Sono però sempre più certa, per esperienza diretta, che la Parola del Signore sia uno scrigno di tesori inesauribili, in grado di farci giudicare tutto, sanare tutto, illuminare ogni cosa e abbracciarla nel grande affresco della Sua azione che salva.
Paola Belletti
Aleteia, 1 aprile 2019