Dovremmo chiederci: l’esperienza del dolore per le proprie colpe, delle lacrime di pentimento è ancora oggi praticabile?
Nel cristianesimo antico il penthos era il primo passo da compiere nel cammino della vita spirituale e su questa esperienza del “cuore contrito e spezzato” (Sal 51,19) l’attenzione e la meditazione era estesa e profonda, mentre oggi appare oscurata da una serie di atteggiamenti che rifuggono l’assunzione di responsabilità per il male commesso: di fronte al peccato si cercano scuse e giustificazioni. La paura della colpevolizzazione ha fatto evaporare il senso di colpa e il pentimento non appare più come un processo decisivo nella vita del credente.
Eppure in molte pagine bibliche è attestato e presentato come esemplare il pianto da parte di chi, prendendo coscienza del proprio peccato, vive dentro di sé un dolore che gli spezza il cuore. Come dimenticare il pianto di David per il suo peccato svelatogli dal profeta e la preghiera del Miserere, confessione a Dio del delitto commesso, pianto e dolore nell’assunzione di responsabilità per la propria azione malefica, domanda a Dio di misericordia e perdono? E come non ricordare le lacrime di Pietro, quel pianto amaro per aver rinnegato di conoscere il suo maestro e profeta, dopo averlo confessato addirittura come inviato di Dio?
Chi è venuto meno alla fedeltà, chi ha contraddetto il bene ricevuto dovrebbe saper piangere. Le lacrime che scaturiscono dalle feritoie del nostro corpo restano misteriose: hanno a che fare non solo con gli organi che le secernono, ma anche con la nostra intelligenza, la nostra intima affettività, il nostro cuore. Inoltre, per noi cristiani, hanno anche a che fare con la grazia di Dio che ce ne fa dono: gli orgogliosi e gli arroganti non piangono, gli ipocriti non riescono a piangere se non lacrime superficiali, interessate, capaci di far scena. Il penthos, la contrizione, le lacrime sono il segno che il cuore di pietra si sbriciola, si frantuma e lascia pulsare un cuore di carne, capace di accogliere la tenerezza misericordiosa di Dio. Per questo le lacrime erano ritenute dai padri della Chiesa come un “secondo battesimo”, una purificazione del cuore, un’attestazione di amore verso il Signore, una domanda di riconciliazione e perdono.
Non saper piangere il peccato commesso era ritenuto un impedimento alla grazia e per questo, ancora nei libri di preghiere affidati alla mia generazione, vi era una preghiera “per ottenere il dono delle lacrime”. Le lacrime, infatti, sciolgono il cuore di pietra e vincono l’aridità che ci rende rigidi, sterili e incapaci di compassione: versare lacrime umanizza, mentre non saper piangere è disumano. Nella vita spirituale cristiana occorre dunque accogliere l’esperienza delle lacrime, del pianto quale pentimento per il proprio operare. Isacco il Siro scrive in proposito: “Le lacrime versate durante la preghiera sono un segno della misericordia di Dio della quale l’anima è stata ritenuta degna nel suo pentimento: il pentimento è accolto e la preghiera attraverso le lacrime purifica, lava da ogni peccato commesso”.
Sì, nessuna lacrima andrà perduta e quando verrà letta la nostra storia, che è anche storia di peccati, se abbiamo pianto con compunzione allora essa sarà anche storia delle nostre lacrime, vera epiclesi di misericordia. Scriveva un monaco: “Quando mi presenterò a Dio in giudizio vedrò accanto a me tutti i peccati che ho commesso, ma chiederò a Dio di guardare anche alle lacrime che ho versato nella compunzione e nel dolore. E le mie lacrime saranno lì, raccolte da Dio come in un otre (cf. Sal 55,9), come richiesta di purificazione e di perdono”.
Enzo Bianchi
Jesus – Bisaccia del mendicante – Aprile 2019