Oggi vi raccontiamo una storia di ordinaria vergogna: quella che riguarda il linciaggio mediatico (e non solo) ai danni di una donna, rea di essersi opposta al diktat Lgbt, ricoprendo con onestà e coscienza un ruolo che fa gola agli amici “arcobaleno”.
Stiamo parlando di Patrizia Del Giudice, Presidente della Commissione Pari Opportunità che era entrata già nel mirino della “gaystapo”, diversi mesi fa per aver espresso il suo parere contrario al Ddl regionale contro l’omofobia Emiliano/Negro, a causa del suo impianto fortemente liberticida e lamentando l’assenza di rilievi statistici seri che verificassero i dati percentuali relativi alle discriminazioni contro gli omosessuali: «Manca ad oggi una rilevazione specifica sul territorio pugliese, e non mi sembra giusto far passare i Pugliesi per omofobi perché, ad “occhio”, appaiono molto più numerosi i casi di discriminazione e violenze a danno delle donne», aveva affermato alcuni mesi fa, quando, a causa del suo iter veloce nelle varie Commissioni, si intravedeva il pericolo dell’immediata approvazione del disegno di legge.
Un personaggio scomodo, dunque, in un ruolo chiave che alla lobby Lgbt locale proprio non va giù. E allora che fare? Trovare una scusa a cui aggrapparsi, un’occasione qualunque, spiando la minima “sbavatura” che possa far pensare a un atteggiamento di parte, per chiedere le sue dimissioni. E così è avvenuto: la testa della Del Giudice è stata chiesta a gran voce, ultimamente, per aver postato, circa una settimana fa un commento positivo sul Congresso di Verona, esprimendo un parere personale sull’evento, sostenendo di ritenere giusto seguire gli esiti di quello, come di qualunque altro lavoro congressuale. È bastato questo perché la gaystapo entrasse in azione, lanciando addirittura una petizione, #TuNonMiRappresenti, con la richiesta di dimissioni immediate. Ma formali richieste di dimissioni sono state avanzate, anche, da alcune componenti della Commissione e da alcuni consulenti politici molto in vista in Regione Puglia.
Siamo di fronte all’ennesima, vergognosa, campagna intimidatoria da parte degli esponenti del mondo Lgbt che dimorano ormai, quasi stabilmente, grazie a politici compiacenti, nei palazzi della Regione Puglia e del Comune di Bari, dove possiedono addirittura un ufficio tecnico per orchestrare iniziative ispirate al gender con soldi pubblici. Siamo di fronte anche a uno sfacciato tentativo di tappare la bocca a un rappresentante delle istituzioni “scomodo”, per di più con una campagna violenta e diffamatoria da parte proprio di chi (siamo alle solite!) si dice contro ogni discriminazione “di genere”. Ma, ça va sans dire, è un copione che è destinato a ripetersi: l’abbiamo già visto in occasione del Congresso di Verona che ha cercato di rimettere al centro la donna nell’unicità di tutti i suoi doni. Di fatto, chi ha contestato l’evento, l’ha fatto con manifestazioni volgari e blasfeme e ogni sorta di violenza, restituendoci un’immagine del mondo femminile più simile al degrado che all’“autodeterminazione” così come, oggi, proprio quelli che si presentano come i paladini dell’uguaglianza, del rispetto delle “differenze” e nemici giurati di ogni forma di violenza, arrivano a bullizzare, con ogni mezzo possibile, proprio una donna.
Ma siamo certi che la storia avrà un lieto fine. Già la maggioranza sana, presente in Puglia, si sta stringendo intorno alla Presidente. Alcune associazioni familiari, presenti sul territorio, hanno lanciato in risposta alla petizione #TuNonMiRappresenti, una raccolta firme sulla piattaforma di CitizenGo che invitiamo tutti a sottoscrivere per chiedere al Presidente della Puglia, Michele Emiliano, di respingere la richiesta di dimissioni e riconfermare, piuttosto, la Del Giudice nel suo ruolo istituzionale. Ci sarà da combattere, ancora una volta, in Puglia, perché l’ennesimo episodio che sa di censura e di dittatura arcobaleno, si risolva nel migliore dei modi.
Manuela Antonacci
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