Quale grande dono potrebbe fare una mamma a suo figlio? Qualche anno fa si sarebbe pensato ad un fratellino o a una sorellina. Anticaglie. Cecile Eledge, una madre del Nebraska, alla bella età di 61 anni, ha deciso di regalare una figlia a suo figlio Matthew. Qualcuno strabuzzerà gli occhi, chiedendosi come sia fattibile che una mamma sia contemporaneamente anche la nonna della bambina che ha partorita. Proviamo a raccontare come è stato possibile, partendo proprio da Matthew, figlio adulto di Cecile, regolarmente unito in matrimonio con il marito Elliott (gay come lui).
Fin qui siamo ancora entro lo spettro dei colori dell’arcobaleno nel variegato mondo delle famiglie, tradizionali e non. I problemi iniziano quando i due mariti sposati tra di loro vogliono avere un figlio. Sembra che, nonostante i progressi della scienza, per ora sia ancora necessario avere uno sperma maschile e un ovulo femminile per procedere ad una fecondazione che possa sperare di mettere in movimento una gestazione. Non solo: serve anche un utero femminile in cui impiantare l’ovulo fecondato. Ora, Matthew e Elliot dispongono naturalmente di due spermi, ma non hanno a disposizione né un ovulo né un utero. Come fare a realizzare il loro sogno di essere papà e papà?
I due si devono essere detti: uno di noi comincia a metterci lo sperma; l’altro deve procurarsi un ovulo, meglio se nella cerchia della sua famiglia; poi serve un utero, meglio se nella cerchia familiare di chi ha fornito lo sperma. L’audace progettino cerca di scimmiottare una pur stramba unione tra i materiali genetici delle due famiglie di origine, così da dare la parvenza che quella bambina sia figlia un po’ dell’uno e un po’ dell’altro dei due mariti.
Detto, fatto. Matthew ci mette lo sperma; la sorella di Elliott, Lea, offre gli ovuli; e, dopo la fecondazione in vitro, la mamma di Matthew dona il suo utero per la gestazione; il tutto si è felicemente concluso poco più di due settimane fa con il parto della piccola Uma Louise. Questa creaturina, quando avrà la possibilità di ragionare e di guardarsi intorno, dovrà realizzare che è nata da sua nonna, ha un padre che in un certo senso è anche suo fratello e ha un altro padre che in un certo senso è anche suo zio. Evviva le nuove frontiere che la scienza riproduttiva ha fatto compiere all’amore paterno e all’amore materno! Avrà questo entusiasmo Uma Louise nel valutare la somma di “doni” che le sono stati fatti, o percepirà di essere il prodotto innaturale di un processo di fabbricazione?
A me pare di intravedere in questa storia una malattia di fondo che rischia di ammorbare la nostra umanità: il preteso diritto dell’individuo o della coppia, che si arroga il potere di violare ogni limite. Il criterio del fare una cosa sembra legato esclusivamente alla sua praticabilità sul piano scientifico e tecnologico, senza alcuna mediazione di tipo etico. Ci si dimentica che il mistero della vita umana non è mai riducibile ad una manipolazione di materiale biologico.
Ecco perché, nella vicenda di Uma Louise, l’unica vittima veramente innocente è proprio lei, che non ha potuto decidere di non nascere e ha dovuto assecondare il delirio di onnipotenza dei suoi produttori.
Agostino Clerici
Corriere di Como, 9 aprile 2019