Le prime sono state alcune serie cooperative sociali, le ultime per ora le Caritas di Vittorio Veneto e di Treviso. Non parteciperanno più ai bandi pubblici per la gestione dei centri di accoglienza dei richiedenti asilo. La direttiva che ha preceduto il “decreto Sicurezza”, infatti, tagliando la quota di rimborso dei costi sostenuti da 35 a 22 euro per persona al giorno, ha limitato drasticamente i servizi di accompagnamento che, prima, si riusciva a offrire ai rifugiati. Insegnamento della lingua italiana, anzitutto, assistenza psicologica (importante per donne e ragazzi che in Libia hanno subito torture e privazioni di ogni genere), formazione professionale, attività sociali per rendere meno vuota l’attesa, mediamente di due anni, della risposta alla domanda di protezione.
Conti alla mano, invece, i 22 euro al giorno possono coprire solo i costi di vitto, alloggio e “sorveglianza”. Ma non è questo servizio “alberghiero” o di gestione simil-carceraria che le Caritas, le vere cooperative e le associazioni del Terzo settore possono assumere come missione verso i rifugiati e le persone migranti. Se non sono messe in grado di assicurare servizi qualificati e minimamente decenti di accompagnamento con personale specializzato (lavoratori regolarmente retribuiti, che stanno perdendo il posto), rischiano di prestarsi a un progetto politico nella migliore delle ipotesi assistenzialistico, nella peggiore punitivo, di cui non condividono né modalità né soprattutto obiettivi, vista la scelta chiara di non favorire una reale inclusione.
Da parte dei sostenitori del governo gialloverde è già partito il solito coro di maldicenze: “La pacchia è finita, ora che non c’è più il business, chi lucrava sui migranti se ne va…”. È vero il contrario. Anzitutto occorre ricordare che le Caritas e le diverse realtà del Terzo settore si sono occupate di profughi e migranti su richiesta, a volte pressante, dei vari Governi e delle Prefetture, cioè dello Stato stesso che non era in grado né di individuare edifici idonei in cui ospitare degnamente i richiedenti asilo protetti dalle norme internazionali, né di dedicare personale alla loro assistenza. L’intervento svolto dal Terzo settore, e in parte dagli organismi della Chiesa stessa, è sempre stato svolto dunque in chiave sussidiaria, di collaborazione per sopperire a carenze delle strutture pubbliche, nella convinzione che chi, già si occupava di accompagnare i poveri, i giovani e gli stranieri potesse meglio assistere i richiedenti asilo. E poteva metterci pure quel “di più” assicurato dai tanti volontari non retribuiti. Certo, come in tutti gli ambiti umani, hanno agito anche ladri e truffatori: imprenditori senza scrupoli che intascavano i soldi e ai richiedenti asilo davano cibo scaduto; albergatori interessati solo a riempire stanze, alcune false cooperative. Tutte situazioni delle quali i migranti sono state le prime vittime, giustamente denunciate (anche da “Avvenire”), già penalmente sanzionate o ancora da sanzionare, ma che per la gran parte avevano come referenti politici e funzionari pubblici corrotti.
Sarebbe auspicabile, allora, che tutti i bandi per l’affidamento a terzi dell’assistenza ai richiedenti asilo andassero deserti. Costringendo così lo Stato ad assumersi direttamente le proprie responsabilità nell’organizzare e gestire questa ospitalità e assistenza svuotata di solidarietà e cultura italiana. Il ministro dell’Interno Salvini, l’intero governo, il Parlamento e l’opinione pubblica potranno così verificare se 22 euro al giorno sono sufficienti per assicurare una dignitosa e utile accoglienza o se invece – una volta affidata l’attività a personale pubblico, con servizi mensa interni e individuazione di edifici adatti – i costi per lo Stato saranno superiori e l’esito umano e civile inferiore. C’è però da temere – e tenere su questo gli occhi aperti – che si facciano avanti, adesso sì, personaggi senza scrupoli pronti solo a incassare i soldi di tutti, e i 22 euro diventerebbero d’improvviso tanti, per non fare nient’altro che i vice-carcerieri di persone trattate da “nemici” da rinchiudere in una condizione da “clandestini”.
Gli organismi ecclesiali, le realtà del Terzo settore e i tanti volontari impegnati, invece, continueranno nella loro opera di accoglienza, assistenza e promozione dedicandosi a quanti hanno perso la protezione umanitaria e sono stati espulsi dai progetti Sprar a causa del “decreto Sicurezza”. Come ha già annunciato tra le altre la Caritas di Milano, questi progetti saranno autofinanziati. Perché l’unica “pacchia” – una vera beatitudine in effetti – è esercitare la carità.
Francesco Riccardi
20 aprile 2019
https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/accoglienza-svuotata