Andiamo al dunque. Dietro il ritiro di Christian Raimo, Carlo Ginzburg, Zerocalcare, Anpi e del collettivo Wu Ming (se ho dimenticato qualcuno non mi scuso) dal Salone del Libro di Torino non c’è solo la presenza di Altaforte, l’editore vicino a CasaPound che, con Io sono Matteo Salvini – libro-intervista della giornalista Chiara Giannini al vicepremier – in queste ore sta rimediando una pubblicità che mai nella vita: quello è solo un pretesto. Dietro all’ennesima sfuriata degli intellò non c’è neppure, diversamente da quanto detto dagli interessati, la volontà di denunciare l’avanzata editoriale del neofascismo. Macché.
Dietro questa sceneggiata c’è altro, ossia il paradosso di una sinistra democratica part-time, solo quando vuole, e rincretinita del tutto se – dopo mesi e mesi che contro Matteo Salvini vengono lanciati appelli e sollevati allarmi che hanno solo accresciuto il consenso leghista – ancora non capisce. Al Salone di Torino il problema non sono dunque i libri scomodi, peraltro sottorappresentati (il mio Propagande, per esempio, non c’è), ma la scomoda verità di un’Italia che i più colti der bigoncio, da mo’, hanno smesso di capire. Di qui tutte le maledizioni ai populisti, a quelli che cavalcano paure, agli agenti di Putin e via farneticando.
Fossi de sinistra, a Raimo (che comunque al Salone ci sarà) e compagnia darei un consiglio: anziché mostrificare l’Altaforte di turno, sfidatene i libri, fatevi coraggio, duellate con le sue idee evidenziandone – se siete capaci – l’insostenibilità. Se invece non ve la sentite, o credete che dialogare con quello che ritenete un nemico conferisca allo stesso una legittimità che non merita, fate una cosa soltanto: ignoratelo, come avete fatto per anni lasciando un certo mondo nelle catacombe dell’editoria. Direi tutto questo, ripeto, fossi de sinistra. Ma dato che non lo sono, davanti alla psicosi dell’intellighenzia mi limito a quanto la coscienza m’impone: l’approvvigionamento di pop corn.
Il Salone del Libro e la psicosi (spassosissima) dell’intellighenzia