Si fa alla svelta a gridare al razzismo: ma quando, ad esserne vittima, è un uomo bianco improvvisamente l’attenzione mediatica scema ed anche la giustizia diventa inspiegabilmente mansueta.
È il caso, ad esempio, del rapper nero Nick Conrad, di 35 anni, recentemente condannato, benché abbia continuato a proclamare la propria innocenza ed a negare d’essere razzista. Però il testo del suo brano, intitolato non a caso «Plb-Pendez les blancs» («Impiccate i bianchi»), non lascia adito a dubbi: «Entrate negli asili nido e uccidete i bebé bianchi – dice – Acchiappateli e poi impiccate i loro genitori».
Per questo, a fine marzo, è giunta la sentenza di condanna della Corte penale nei suoi confronti, una condanna incredibilmente clemente: 5 mila euro di sanzione, oltre tutto pena sospesa, per istigazione a delinquere. La sua clip vomita violenza al punto da aver scatenato accese polemiche già dallo scorso settembre: nel video si vedeva un uomo bianco con un revolver infilato in bocca o con la testa schiacciata contro il marciapiedi.
Eppure il rapper si è detto «deluso» dalla sentenza ed ha preannunciato di voler ricorrere addirittura in appello: «La lotta continuerà», ha dichiarato, benché, alla fine, egli si sia ritrovato finora a dover sborsare solo mille euro per danni a due associazioni costituitesi parti civili, la Licra-Lega internazionale contro il razzismo e l’antisemitismo e l’Agrif-Alleanza generale contro il razzismo e per il rispetto dell’identità francese e cristiana.
Chissà perché, però, quando il politicamente corretto si rivela scorretto, all’epidermica ed immediata levata di scudi iniziale si sostituisce un imbarazzato silenzio. Capita non solo quando la vittima del razzismo sia bianca, ma anche quando la violenza omofobica si riveli, in realtà, solo ed unicamente una gigantesca farsa o, peggio, un pretesto.
Qualcuno avrà forse saputo, ad esempio, dell’arresto dell’attore omosessuale afro-americano Jussie Smollett, accusato lo scorso febbraio di essersi letteralmente inventato un’aggressione «omofoba» e «razzista», raccogliendo, sulla parola, la solidarietà di molte star ed una copertura mediatica internazionale. Pochi i riflettori rimasti accesi, però, per spiegare che, in realtà, quella di Smollett è stata soltanto un’enorme montatura, per procurarsi una facile pubblicità gratuita. Dopo il suo rilascio su cauzione, è stato licenziato dalla serie tv in cui recitava ed ora rischia fino a tre anni di carcere. Ma di lui nessuno parla più. E figuracce come questa sono purtroppo più frequenti di quanto si creda.
Lo stesso accade con l’islam, altro tema “tabù”, nei cui confronti l’Occidente rivela una clemenza pari al lassismo anche laddove i precedenti suggeriscano maggior rigore e severità. Lo rivelano vicende come quella di Basit, un 19enne afghano, ufficialmente in Francia come rifugiato politico: in realtà, si è già distinto per aver danneggiato il portone della Sottoprefettura di Fontainebleau e per aver minacciato di morte le guardie del castello, dichiarando la propria adesione all’Isis. Nonostante tutto, il tribunale penale non lo ha riconosciuto colpevole di apologia del terrorismo, lo ha derubricato come giovane disagiato, quindi lo ha condannato ad un anno di reclusione, ma con la sospensione della pena. Lo status di enfant terrible gli ha consentito d’aver accesso al regime di messa in prova per 36 mesi, nonché gratuitamente alle cure psichiatriche e sanitarie del caso ed alla formazione al lavoro. Unica misura restrittiva: il divieto di frequentare il castello di Fontainebleau. Nient’altro.
Anche in questo caso non è stato chiuso un occhio, ma tutti e due. Come si è fatto anche negli studi radiofonici di France Inter, allorché, proprio – si badi – nel pomeriggio di Venerdì Santo, si è lasciato esibire e pagato con soldi del servizio pubblico un sedicente cantante, lanciatosi in un’oscena, vergognosa, delirante, canzonatoria interpretazione del rogo di Notre-Dame. Quello trasmesso, nel giorno della morte di Cristo in croce, è stato un bieco oltraggio alla fede ed alle convinzioni più intime di milioni di cattolici, cui tuttavia viene chiesto di starsene zitti e guai al primo che parla, immediatamente tacciabile d’integralismo e fanatismo religioso in nome di un illimitato senso della «libertà d’espressione», per la verità ridotta a libertà d’insulto e, chissà perché, attivabile soltanto a senso unico, il senso cioè di chi canti col coro, rendendo i cristiani un bersaglio.
Ancora una volta, nei casi citati ed in molti altri, un’omertà complice ha consentito il trionfo non del buon senso, della giustizia e del buon gusto, bensì dell’ideologia, del pregiudizio e del «politicamente corretto».
Mauro Faverzani
8 maggio 2019