Abbiamo già accennato a uno degli aspetti più folli dell’ideologia gender che in nord Europa e in America, ma ultimamente anche nella nostra Italia, sta consentendo l’ingresso nei bagni e negli spogliatoi femminili dei “maschi che si sentono femmine”, ovvero i transgender, e delle conseguenze disastrose in termini di violenza sulla donne a cui questo sta portando.
Ma il fenomeno, nonostante i vari campanelli d’allarme, continua a crescere perché non si fa assolutamente nulla per correre ai ripari. Anzi, chi osa ribellarsi deve anche essere disposto a subire le conseguenze delle proprie azioni.
Due anni fa è accaduto a Birgitte, una donna di Stavanger, in Norvegia, che ha visto terminare il suo calvario solo pochi mesi fa. Birgitte da tempo frequentava una struttura sportiva del suo paese, dove però, in un giorno di luglio del 2016, mentre si trovava nello spogliatoio femminile, notò la presenza di una persona con i genitali maschili e gli chiese se per caso avesse sbagliato stanza. «No sono una donna a tutti gli effetti e ho il diritto di stare qua», le viene risposto dall’uomo che in realtà si fa chiamare Sandra e ha preteso di cambiare genere sulla sua carta d’identità, dichiarandosi “donna”, nonostante non si sia sottoposto ad alcuna operazione per il riassegnamento del sesso biologico, e tutto questo grazie alla legge sull’identità sessuale approvata, in Norvegia, nel 2016.
La risposta di Sandra, tuttavia, non convince Birgitte che si rivolge ai dirigenti della palestra i quali le assicurano che nessuna persona con genitali maschili può entrare nello spogliatoio femminile. Ma dopo qualche mese, nel febbraio del 2017, incontra nuovamente Sandra nello spogliatoio e le chiede di andare via, ma si sente rispondere picche. Anzi, non contento, l’uomo denuncia Birgitte per molestie. Subito dopo, viene montata ad arte un’incredibile polemica e creato addirittura un “caso mediatico” ad hoc, con la stampa (è quasi inutile dirlo) che sostiene il trans: «Dove deve andare a farsi la doccia Sandra? Dovunque voglia farsi la doccia. Costringerla a frequentare lo spogliatoio maschile solo perché ha un organo genitale maschile sarebbe un abuso nei suoi confronti», scrive Karoline Skarstein sul quotidiano Stavanger Aftenblad.
Leggendo queste assurde riflessioni viene da dire che risulta davvero squallido che a denunciare un ipotetico “abuso” sia proprio una donna che si fa fatica a credere ignara delle conseguenze gravi che possa portare il libero accesso di transessuali in certi luoghi riservati alle donne. Ma la macchina del fango contro Birgitte non si arresta: in altri articoli viene addirittura accusata di “transfobia” e la pressione è tale che la ragazza non riesce a reggerla, tanto da dover prendere un congedo dal lavoro. Per la causa intentata contro di lei dal trans Sandra, Birgitte finisce in tribunale, dove Sandra è rappresentata da Legal Aid for Women che difende la sua cliente con una motivazione che ha davvero dell’incredibile: «Se alle donne con il pene viene negato accesso agli spogliatoi femminili, quale spogliatoio dovrebbero mai usare? Se esistono degli spazi separati è perché le donne non si sentono al sicuro in una stanza con degli uomini, allora sarebbe strano costringere un gruppo di donne a usare gli spogliatoi maschili. Ricordiamo che le donne trans sono più a rischio di molestia delle donne cis [ovvero le donne che si identificano col proprio genere ndr]». Insomma una vera e propria discriminazione al contrario che si basa sul principio secondo cui è la minoranza a dover dettare legge sulla maggioranza e per di più anche su questioni che non hanno per oggetto nemmeno la realtà, in questo caso “biologica”!
Per tutta risposta l’avvocato di Birgitte chiede che «sia considerato il disagio delle ragazze e delle donne che sono costrette a farsi la doccia accanto a una persona con genitali maschili». Il calvario di Birgitte finisce solo qualche mese fa, quando la donna viene assolta con due voti a favore contro uno. Tuttavia traumatizzata dalla vicenda ha deciso di non usare più gli spogliatoi e di farsi la doccia a casa. Intervenendo su questo caso, la femminista Kajsa Ekman, autrice di diversi libri, ha denunciato una situazione ormai grave e frequente: «I nostri spazi si sono ristretti, questa è la conseguenza della legge sull’identità sessuale. I sentimenti delle donne e la loro sicurezza non sono considerati importanti. Se una persona protesta viene trascinata in tribunale. È chiaro che queste leggi non hanno nulla a che fare con il femminismo». A conferma di questo clima di censura diffusa, l’intervento di Ekman alla conferenza sulla pornografia e la prostituzione a Göteborg, in Svezia, lo scorso febbraio, è stato cancellato dopo che lei aveva messo in dubbio, durante l’evento, il concetto di «genere come costrutto sociale e non biologico».
Manuela Antonacci
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