Delle pretese gender ora la gente non ne può proprio più ed alza la voce nel mondo, pretendendo per i propri figli un’educazione davvero attenta alle loro esigenze, priva di fronzoli ideologici e di “esperimenti” Lgbt. Lo dimostra quanto accaduto in Spagna, ad esempio, nelle cui scuole sono stati introdotti in sordina programmi di genere, in grado di produrre solo confusione indebita nei ragazzi, oltre tutto in una fase particolarmente delicata del loro sviluppo.
«Non permetteremo alla Giunta di fare esperimenti con i nostri figli»: è questo quanto ha dichiarato la presidentessa dell’organizzazione spagnola degli Avvocati Cristiani, Polonia Castellanos. Che, conseguentemente, ha denunciato all’Alta Corte di Giustizia l’assessore all’Educazione di Castiglia e León, Fernando Rey. L’accusa nei confronti di quest’ultimo è quella di aver applicato per mesi in modo illegittimo in tutte le scuole della Comunità autonoma il «Protocollo di attenzione educativa e di accompagnamento per gli alunni transessuali o con orientamento di genere irregolare». Il protocollo non è mai stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale e della sua applicazione non sono mai stati preventivamente informati né gli alunni, né tanto meno le famiglie, del tutto all’oscuro dell’accaduto.
Tale programma ha, ad esempio, incoraggiato un uso promiscuo dei bagni e dell’abbigliamento, favorendo artatamente non solo l’incertezza di genere, anche in chi magari nemmeno vi pensasse, bensì aumentando esponenzialmente anche il rischio di molestie ed abusi.
Così facendo, secondo la denuncia, sarebbero stati violati i diritti fondamentali riconosciuti dalla Costituzione. Un comportamento gravissimo, insomma, da parte di organi dello Stato, che hanno consapevolmente agito senza coinvolgere le famiglie in un percorso tanto problematico ed in scelte così azzardate: «I bambini affetti da disforia di genere meritano lo stesso rispetto di tutti gli altri, tuttavia da casi particolari non si possono trarre linee di condotta generale», ha dichiarato Castellanos. Ovvero, tanto per chiarire ulteriormente il discorso, «per cercare di aiutare questi ragazzi, non possiamo mettere a rischio tutti gli altri».
Non solo: il protocollo in questione ha comportato l’assunzione di «misure ancora più rischiose». Ad esempio, ha limitato la patria potestà e la primaria responsabilità educativa dei genitori, specie quando «dissentano dal modo di procedere della pubblica Amministrazione». Inoltre, i colloqui con gli alunni sono stati affidati ad associazioni come Dialogsexe Chrysallis(organizzazione delle famiglie di minori transessuali) ed impostati secondo discutibilissimi criteri di «totale indottrinamento con marcato pregiudizio ideologico», anziché – come dovrebbe essere per legge – essere gestiti semmai da professionisti accreditati ed in grado di garantire un punto di vista «imparziale».
Con l’assessore all’Educazione è stata denunciata anche la direttrice generale per l’Innovazione e per l’Eguaglianza Educativa, María del Pilar González, in quanto responsabile dell’applicazione di questo protocollo: incontrata dagli Avvocati Cristiani, non appena si è saputo dell’accaduto, ha cercato di giustificarsi, sostenendo che l’applicazione del protocollo fosse ancora in una «fase sperimentale», benché abbia dovuto ammettere che, in realtà, esso era già stato implementato in alcune scuole di Castiglia e León e di Valladolid.
Che, del resto, l’opinione pubblica non ne possa davvero più delle prepotenze, con cui la galassia Lgbt cerca di inculcare le proprie pretese nei soggetti minorenni, lo dimostra anche quanto accaduto in Perù: un’autentica rivolta popolare ha scatenato la decisione del Programma Nazionale d’Istruzione di Base di integrare in tutte le scuole le parole d’ordine dell’ideologia e dell’approccio gender, infischiandosene totalmente del rifiuto opposto dai genitori, dalle famiglie e da numerose organizzazioni di categoria.
Di fronte a tale prevaricazione è stata immediatamente organizzata una «Grande Marcia Nazionale» contro l’ideologia gender nelle scuole, promossa dai movimenti civici «Genitori in Azione» e «Dei miei figli non ti impicciare», cui hanno aderito anche numerose altre sigle e soprattutto moltissime famiglie.
Imponente è stata la partecipazione: dopo oltre due anni di “sperimentazioni”, del resto, la gente, ormai esasperata, intima il ritiro immediato di tutti i programmi di educazione di genere dalle aule del Paese sudamericano ed un rimpasto nei membri e nei piani del Consiglio Nazionale dell’Educazione.
Rodolfo Cortina, portavoce di «Genitori in Azione», ha dichiarato alla stampa che questa intende essere «la madre di tutte le Marce» contro qualsiasi dittatura ideologica: «Uniti più che mai, tutti i gruppi pro-family marciano in tutto il Paese per difendere l’innocenza dei figli e per chiedere un’educazione dignitosa per tutti i peruviani». Sarebbe ora. Ovunque.
Mauro Faverzani
29 Maggio 2019