Il cardinale arcivescovo di Utrecht spiega come si è secolarizzato il suo paese e l’Europa e indica un punto da cui ripartire.
Per gentile concessione degli organizzatori, pubblichiamo la relazione del cardinale Willem Jacobus Eijk, arcivescovo di Utrecht, dal titolo “La secolarizzazione nel nostro tempo”, tenuta a Cracovia il 29 maggio 2019 all’interno della conferenza “L’Europa tra nichilismo post illuministico e la questione islamica”, organizzata dal Centro internazionale Giovanni Paolo II per il Magistero Sociale della Chiesa.
Per questa conferenza sulla secolarizzazione nel nostro tempo prendo come punto di partenza soprattutto la secolarizzazione nel mio paese, l’Olanda. Non lo faccio per questioni patriottiche, ma per due motivi. In primo luogo, l’Olanda, pur non essendo il paese dove si vedevano i primi segnali della secolarizzazione, è stato sicuramente il paese dove è scoppiata la secolarizzazione che ora si manifesta su larga scala in tutti paesi dell’Europa occidentale. Il mio paese, fino alla fine degli anni ’50, era ancora un paese prevalentemente cristiano, più di altre nazioni europee, ma poi subì nella seconda metà degli anni ’60 una secolarizzazione a un ritmo fino ad allora sconosciuto. Perciò, l’Olanda gode ora la triste fama di essere, dopo la Repubblica Ceca e la Svezia, il paese più secolarizzato di Europa.
C’è un secondo motivo per prendere i Paesi Bassi come punto di partenza per questo mio contributo: nei Paesi Bassi fu eretto nel 1946 il primo istituto in Europea che si occupa degli studi sociologici della situazione ecclesiastica, il KASKI (Katholiek Sociaal-Kerkelijk Instituut), cioè l’Istituto Cattolico Sociale-Ecclesiastico [1]. Un mio collega-vescovo mi disse una volta: «Noi cattolici olandesi abbiamo registrato mediante questo istituto il nostro declino con molta precisione e senza misericordia».
Alcuni dati statistici
La chiesa protestante più grande nei Paesi Bassi, cioè la Chiesa riformata olandese, nell’ultimo quarto di secolo dell’Ottocento ha praticamente perso tutti i suoi fedeli e si è svuotava, gradualmente ma progressivamente, a partire dalla fine della Prima guerra mondiale. Nella Chiesa cattolica in Olanda, invece, la secolarizzazione “è scoppiata” per così dire – a prima vista, improvvisamente – nella seconda metà degli anni ’60, in un modo e con un ritmo che ha stupefatto tutto il mondo.
Questo era il periodo in cui frequentavo il ginnasio ad Amsterdam. Nel primo anno, 1965-1966, quasi tutti gli alunni e i loro genitori andavano in chiesa ogni domenica. Nella classe finale, 1970-1971, eravamo ancora in due. Nelle prime due classi, gli insegnanti di religione, che erano padri, offrivano una buona catechesi. Dal 1967, le ore di religione, sempre ancora date da padri, erano ore di libere discussioni sulla politica, sull’uso delle droghe, sull’aborto e su Che Guevara (1928-1967) il rivoluzionario marxista e leader della guerriglia a Cuba, ma non sulla religione cristiana. Quest’argomento era evitato accuratamente.
Nelle chiese cattoliche nelle grandi città, Amsterdam, l’Aja e Rotterdam, si vedeva a occhio nudo che il numero dei partecipanti alla Messa domenicale diminuiva ogni volta. Il mio predecessore come arcivescovo di Utrecht, il cardinale Adrianus Simonis, era viceparroco in una chiesa parrocchiale a l’Aja. Quando arrivò lì nel 1966, circa 3.200 fedeli partecipavano alle Messe domenicali. Nel 1971, quando diventò vescovo di Rotterdam, ancora solo circa 1.600, un dimezzamento in 5 anni. Alcuni anni fa, in quella chiesa, un edificio con più di mille posti, partecipavano all’unica celebrazione domenicale rimasta solo 60 persone. Perciò, la chiesa fu chiusa.
Nella seconda metà degli anni ’60 del secolo scorso, l’epoca della contestazione, tutta una generazione di giovani decise di non frequentare più la chiesa. Questi, oggi nonni, non hanno trasmesso la fede o l’hanno trasmessa solo parzialmente ai loro figli. Adesso abbiamo a che fare con i loro nipotini, la cui maggior parte non è stata battezzata e non sa quasi nulla della fede cristiana. Perciò ci confrontiamo attualmente con le conseguenze di scelte fatte da una generazione di giovani mezzo secolo fa. Dopo questi fatti, la partecipazione alla Messa domenicale si è dimezzata dal 64,4 per cento nel 1965 fino al 31,1 per cento nel 1975 [2]: questa diminuzione è continuata gradualmente, ma costantemente. Quelli che vengono in chiesa la domenica stanno invecchiando e muoiono, e non sono sostituiti da fedeli più giovani. La percentuale dei cattolici che va ogni domenica in chiesa era nel 2017 del 4,2 per cento. [3]
Oltre al calo alla partecipazione alla Messa domenicale, vi sono anche altre conseguenze delle scelte di mezzo secolo fa. Nel 2002 meno della metà degli olandesi, cioè il 43 per cento, diceva di aderire a una Chiesa. Questa percentuale è diminuita ancora del 12 per cento in 14 anni: nel 2016 solo il 31 per cento ha indicato di essere membro di una Chiesa. [4] Questo sviluppo rispecchia il ritmo della secolarizzazione in Olanda, ma temo anche altrove. Questo ha anche le sue ripercussioni sul numero dei cattolici registrati: erano 5.106.000 nel 2000, ma nel 2015 si constatava un calo del 24 per cento, fino a 3.882.000 cattolici [5] su una popolazione totale che cresceva, in questo stesso periodo, da 15.864.000 fino a più di 16.500.000 [6]. Il numero di cattolici che va in chiesa ogni domenica è diminuito da 385.675 partecipanti nel 2003 fino a 186.700 nel 2015, cioè un calo del 52 per cento in 12 anni. Nello stesso periodo sono state chiuse 269 delle 1.782 chiese in Olanda (dato del 2003). Ora si chiudono ogni settimana due chiese, sia protestanti sia cattoliche.
Anche in altri paesi dell’Europa occidentale vediamo sviluppi comparabili. In base a una indagine del Forschungszentrum Generationenverträge dell’Università Albert-Ludwig di Friburgo in Germania pubblicata nel 2019, si prevede che il numero dei cattolici registrati in Germania diminuirà del 20 per cento nel 2035 e del 48 per cento nel 2060 [7]. Da un’indagine, commissionata dall’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti a Doxa e svolta tra la metà di gennaio e la fine di marzo 2019, in cui è stato chiesto agli italiani a quale religione appartenessero, risulta che la percentuale dei cattolici è calata dal 2014 fino al 2018, cioè in cinque anni, del 7,7 per cento, cioè dal 74,4 per cento nel 2014 fino al 66,7 di oggi, mentre la percentuale di atei è cresciuta nello stesso periodo del 3,8 per cento fino al 9 per cento [8].
In quasi tutta l’Europa occidentale i vescovi sono costretti a chiudere le chiese a causa sia della mancanza di fedeli attivi sia di mezzi finanziari. Questo accade in Germania, alle chiese anglicane in Inghilterra e in Francia molte chiese nei villaggi non sono più usate.
Sguardo retrospettivo
Tuttavia i primi segni del declino nei Paesi Bassi si manifestavano già vent’anni fa, nell’immediato dopoguerra. Il KASKI pubblicò già nell’anno della sua fondazione, cioè nel lontano 1946, il suo primo rapporto. Era un rapporto statistico sulla partecipazione dei cattolici olandesi alla vita della Chiesa. Nel 1965 la percentuale dei cattolici nella maggior parte delle parrocchie nel centro storico di Amsterdam che non festeggiavano più la Pasqua era circa il 60 per cento [9]. I preti prevedevano che questo fenomeno si sarebbe diffuso in tutto il paese nel corso degli anni.
È molto utile guardare indietro al primo inizio della secolarizzazione per fare una diagnosi delle cause dell’attuale secolarizzazione nell’Europa occidentale, perché questo forse ci permette di trovare delle “terapie”. Per discutere la situazione inquietante nella Chiesa olandese un gruppo di nuove persone, laici e cattolici, si è ritrovata nel seminario minore della mia arcidiocesi ad Apeldoorn il 9 ottobre 1947. Hanno pubblicato i risultati delle loro deliberazioni in un libro con il titolo significativo: Onrust in de zielzorg (cioè: Fermento nella cura delle anime) [10]. Osservavano un fenomeno che definivano “stanchezza” nella pastorale [11]. Inoltre, in base alle statistiche negative e deludenti soprattutto ad Amsterdam, prevedevano che la Chiesa si sarebbe svuotata massicciamente nel futuro. Osservavano nel libro, menzionato sopra, che “la massa paurosa e inquietante che si sta allontanando dalla Chiesa, anche in Olanda, (…) è il grande esercito che prepara la grande apostasia” [12].
Questo gruppo costatava una questione molto importante: la vita semi-ecclesiastica organizzata intorno alla Chiesa, come le scuole cattoliche e le numerose associazioni cattoliche dello scouting e dello sport, era per loro spesso l’unico legame con la Chiesa. Non avevano un legame puramente religioso con le verità della Rivelazione, la fede e la Chiesa. Questo legame era piuttosto profano, non dogmatico, ma etico-moralista [13].
Un membro del gruppo disse a proposito di questo fenomeno: “L’anemia della vita cattolica è nata dalla conoscenza minima della realtà dogmatica e dal modo debole di viverla” [14].
La fede era per i cattolici “non più di un sistema di verità e comandamenti”, [15] che non toccava la vita quotidiana. La fede perdeva per questo la sua rilevanza, per cui sarebbe stata lasciata totalmente col passare del tempo.
Di questa situazione della Chiesa cattolica, che dall’esterno appariva come un edificio grande e impressionante, ma all’interno era già molto indebolita, esiste un testimone che sarebbe diventato trent’anni dopo famoso come papa Giovanni Paolo II, Karol Wojtyła. Durante i suoi studi di filosofia a Roma, visitò come turista i Paesi Bassi nel 1947. In una lettera scrisse di ammirare la potente organizzazione della Chiesa olandese, ma osservò che fra i cattolici mancava spiritualità, fede vissuta e una vita di preghiera personale. La Chiesa olandese si caratterizzava per una resistenza testarda contro i protestanti, si manifestava come una “unità abbastanza fredda e dura”, in cui la soddisfazione dei desideri religiosi o il bisogno dei sentimenti non contava. L’unica cosa che contava era “l’esperienza dell’unità” [16].
La Chiesa cattolica in Olanda, e un po’ meno in altri paesi, era quindi un’organizzazione basata più su rapporti sociali che sul contenuto della fede condiviso dai membri. E perciò non poteva resistere alla cultura individualista che si espandeva rapidamente negli anni ’60. Questa diventò una cultura iper-individualista con l’uso dei social media intorno al 2005. L’attuale cultura individualista è qualificata dal filosofo canadese Charles Taylor come la “cultura dell’individualismo dell’autenticità” [17]. Implica che l’individuo si immagini di stare su uno palcoscenico invisibile, mentre considera gli altri come spettatori. L’individuo ha l’obbligo di scegliere una propria religione, una propria filosofia di vita e i propri valori etici. In questo contesto non ha più bisogno di un essere che lo trascende, la società, la Chiesa, meno che mai un Dio Creatore che ha dato un ordine a questo mondo da cui provengono delle norme morali, vincolanti per tutti. L’individualismo trovava la sua radice diretta nella crescita rapida della prosperità negli anni ‘60, che rendeva la gente in grado di vivere in gran parte indipendentemente l’uno dall’altro.
Pronostico
Dopo aver subito un’operazione al ginocchio destro nel mese di dicembre dell’anno scorso, mi trovai per una settimana in una casa di convalescenza. Un altro paziente mi disse: “Ho compassione di lei come metropolita di Utrecht. Lei ha, infatti, meno di 200.000 cattolici a Messa ogni domenica in tutto il paese. Mi fa pietà”. Ho dovuto pensare in quel momento a ciò che mi aveva detto una volta un collaboratore della mia diocesi precedente, cioè quella di Groninga: “Il suo peggior nemico è qualcuno che ha compassione di lei”. Tuttavia, non mi trovo pietoso affatto, come spiegherò fra poco.
Alla fine del 2014 scrissi una nota in cui osai fare alcune predizioni sul futuro dell’arcidiocesi di Utrecht, senza avere doti profetiche, ma in base alle statistiche disponibili. Fra il 2008 e il 2011 riunii tutte le allora 326 parrocchie in 49 grandi parrocchie. Il motivo era lo scarso numero di sacerdoti. Il numero dei preti attivi, nel 2008, l’anno in cui diventai arcivescovo di Utrecht, era di circa 80 ed è calato nel frattempo a 53 preti diocesani e 9 preti religiosi per più di 700.000 cattolici e circa 260 chiese. Un altro motivo era la difficoltà di trovare un numero sufficiente di membri qualificati per i consigli parrocchiali. In quella nota predissi che di queste 49 parrocchie sarebbero rimaste nel 2028 solo circa 20 parrocchie con ognuna una o due chiese. Indicai il 2028 come punto all’orizzonte perché questo è l’anno in cui dovrò offrire le mie dimissioni al Santo Padre secondo il diritto canonico universale per aver raggiunto l’età di 75 anni. Inoltre scrissi nella nota di aspettarmi che nelle parrocchie che sarebbero rimaste (ormai mancano solo dieci anni) solo il prete sarebbe stato ancora stipendiato. Predissi che, a parte il sacerdote, le altre persone stipendiate sarebbero sparite quasi totalmente, fra cui gli operatori pastorali laici, il cui numero si è dimezzato già dal 2008, l’anno in cui diventai arcivescovo di Utrecht.
Ho detto di aver scritto questa nota non in base alle mie doti profetiche, ma un po’ mi sentii davvero come un profeta dell’Antico Testamento. Molti, avendo interpretato la nota come un documento in cui avevo messo a punto una linea politica per chiudere molte chiese, anziché di un documento sulle mie aspettative riguardanti il futuro dell’arcidiocesi, si irritarono moltissimo. I mass media e i social media, che amano fare scandalo, si buttarono a capofitto sulla mia nota e contro di me. Dopo che questo malinteso fu coretto sul sito dell’arcidiocesi, la situazione si calmò e ritornò il senso della realtà. Un giornalista scrisse: “Quando nell’arcidiocesi una porta in una chiesa stride o scricchiola, ormai si accusa l’arcivescovo”.
Alcuni mesi dopo la pubblicazione della nota, quando i mass media ancora “sparavano” contro di me, mi venne a conoscere il sindaco di Utrecht. Incontrandomi in arcivescovado, mi disse: “Pensavo di trovare un uomo abbattuto, ma lei è qui con una faccia raggiante”. Non sono certamente un uomo abbattuto, disperato o pietoso. Solo a volte sono un po’ geloso di monsignor Henricus van de Wetering, un mio predecessore dal 1895 fino al 1929, perché quando passo davanti al suo ritratto che custodisco in casa, penso: “Lui ha fatto costruire durante il suo episcopato 137 chiese e cappelle e io devo chiuderne adesso un bel numero.”
Luci all’orizzonte
La secolarizzazione odierna cambia radicalmente la posizione della Chiesa nella società e le toglie l’influenza che aveva prima sull’opinione pubblica, tuttavia non bisogna perdere la speranza, per tre motivi.
- In primo luogo: quando celebriamo l’Eucaristia, il Signore comunque viene in mezzo a noi sotto le specie del pane e del vino e, facendo la comunione, lo riceviamo personalmente, non conta se siamo in tanti o in pochi. Questo è la fonte della gioia spirituale più grande, che nessuno o nessuna cosa, neppure la secolarizzazione, può toglierci. E non si tratta di una gioia egoistica, se abbiamo la volontà ferma e decisa di proclamare la fede in Cristo, per quanto possibile.
- In secondo luogo: l’attuale cultura individualista non rimarrà per sempre. Certamente è molto difficile nella cultura oggi dominante proclamare la fede. L’individualista non ammette un essere che lo trascende. C’è oggi poca apertura verso Dio, di cui ci siamo creati un’immagine, e nei confronti di una fede condivisa da una comunità di fedeli. Questa cultura chiude l’individuo in se stesso. La cultura individualista e secolare, promossa dall’opinione pubblica, dai mass media e dai social media, dispone di un esercito forte contro al quale noi, invece, possiamo opporre mezzi modesti e deboli. Nonostante ciò, il nostro compito è di trasmettere energicamente la fiaccola della fede alle generazioni future con tutta la fantasia possibile, anche se i frutti oggi sono pochi. Tuttavia, bisogna sapere che anche la cultura individualista oggi dominante non rimarrà per sempre, ma dovrà cedere prima o poi a un’altra, forse più aperta alla fede in Cristo. E soprattutto dobbiamo essere consapevoli che la grazia dello Spirito Santo opera nella Chiesa anche oggi. Ogni anno vi sono, anche in un paese tanto secolarizzato quanto Olanda, parecchi adulti, mai battezzati o comunque poco istruiti sulla fede cristiana, che, pur anche loro stessi cresciuti in un ambiente individualista, scoprono Cristo e si fanno battezzare e ricevono la cresima e la prima comunione. Un vecchio detto ebreo molto profondo dice: “Chiunque distrugge un’anima, distrugge un intero mondo. E chiunque salva una vita, salva un mondo intero” [18]. Anche se convertiamo nella nostra vita solo una persona alla fede in Cristo, avremo salvato in lui un essere che vale più dell’universo.
- In terzo luogo, c’è un motivo particolare per mantenere la speranza: da un lato, la quantità delle chiese diminuisce, ed è un fatto deplorevole e preoccupante, ma, dall’altro, la qualità sta aumentando. Quando diventai vice-parroco nel 1985, c’erano la domenica ancora alcune Messe abbastanza frequentate, ma i fedeli venivano in gran parte per tradizione, ma non condividevano l’intero insegnamento della Chiesa. Oggi, nessuna chiesa è piena la domenica, ma i fedeli che vengono pregano, hanno un rapporto personale con Cristo e accettano in gran parte o totalmente l’insegnamento della Chiesa, soprattutto i giovani.
Questi saranno il lievito della fede cristiana nel futuro, formando la minoranza creativa di cristiani di cui Benedetto XVI ha parlato in un’intervista sull’aereo durante il suo viaggio in Cechia nel 2009. Alla domanda di un giornalista su come una minoranza cristiana potesse contribuire al bene comune in un paese tanto secolarizzato come la Cechia, il Pontefice rispose che la storia ci insegna che una minoranza creativa può cambiare radicalmente un’intera cultura: “Direi che normalmente sono le minoranze creative che determinano il futuro, e in questo senso la Chiesa cattolica deve comprendersi come minoranza creativa che ha un’eredità di valori che non sono cose del passato, ma sono una realtà molto viva ed attuale”. [19]
Come minoranza creativa, la comunità cristiana può sicuramente contribuire al bene comune a livello culturale, intellettuale, etico ed educativo.
L’idea dell’influsso grande che una minoranza creativa può avere, fu introdotto dal filosofo della storia inglese Arnold Toynbee (1889-1975). Egli, dopo aver studiato la nascita e la caduta di 26 civiltà nella storia umana, concluse che la loro nascita era dovuta al modo in cui delle minoranze creative avevano reagito alle sfide della loro epoca [20]. Analogamente, papa Benedetto XVI ha applicato questa idea alle minoranze creative di fedeli che possono avere un influsso decisivo sulla cultura, a condizione di vivere la fede in Cristo, inclusa la morale che ne è una dimensione intrinseca, in modo convincente e attivo. Di questo è testimonia il fatto che la minoranza creativa del primo inizio del cristianesimo, pur perseguitata duramente, ha saputo cristianizzare la cultura romana dall’inizio del quarto secolo.
Non prevedo che la cultura dell’iper-individualismo finirà a breve, ma sarà molto importante cominciare adesso già a formare le comunità di fedeli rimaste affinché diventino minoranza creativa, che sarà una volta di nuovo in grado di cristianizzare la cultura, a partire da quella europea.
Questo implica che non dobbiamo “sederci sulle nostre mani”, ma mettere mano alla formazione di questa minoranza creativa. Al tempo stesso bisogna essere realisti. Quando, come nei paesi dell’Europa occidentale, la quantità di fedeli attivi diminuisce e, di conseguenza, anche i mezzi finanziari disponibili e il numero di volontari, non possiamo evitare di chiudere un bel numero di chiese, per quanto sia doloroso. In un paese come il mio, la Chiesa dipende dai contributi volontari dei fedeli e lo Stato fornisce ancora solo dall’8 fino al 10 per cento dei costi di un restauro di una chiesa. Per questo motivo avevo scritto in una lettera pastorale nel 2013 ai preti, ai diaconi e agli operatori pastorali laici della mia arcidiocesi: “Nel processo che la Chiesa sta attualmente subendo nel nostro paese, non dobbiamo guardare solo al costo degli edifici, poiché in quello non sta la nostra salvezza. Un tale salvagente di pietra ci tirerebbe nell’abisso. Dobbiamo cercare sopporto presso il Signore e gli uni negli altri”. [21]
Parecchi fedeli resistono con le unghie e coi denti alla chiusura delle loro chiese e si rivolgono talvolta a Roma contro la decisione del vescovo di sottrarla al culto divino. Questo può essere fastidioso per un vescovo o per il consiglio parrocchiale coinvolto, ma è, in ogni caso, un segno che la chiusura della chiesa non lascia indifferenti i fedeli. Tuttavia, dopo che la chiesa è stata chiusa e i fedeli si concentrano nelle chiese rimaste, reagiscono spesso in modo positivo: apprezzano l’esperienza di trovarsi durante la Messa domenicale di nuovo in una chiesa ben riempita. La diminuzione del numero delle chiese, per quanto negativa sembri, ha perciò anche un aspetto positivo: radunando le forze rimaste in alcune chiese che sono il centro di una grande regione, costruiamo la Chiesa del futuro.
Tuttavia, la sfida primaria è di trasformare le nostre comunità di fedeli rimasti in una minoranza creativa che sappia cristianizzare di nuovo la cultura, soprattutto nell’Europa occidentale. Nella mia nota del 2014, ho delineato i modi in cui questo può essere realizzato (senza usare, però, l’immagine della minoranza creativa). Non sarà una sorpresa che questi sono, in fin dei conti, i modi in cui abbiamo trasmesso la fede in Cristo a partire dagli Atti degli Apostoli, ma con alcuni accenti particolari in vista dell’attuale cultura individualista secolare. Si tratta di ciò che chiamo i tre compiti di preti, diaconi e operatori pastorali laici: 1) i compiti nucleari, 2) la prossimità pastorale e 3) la pastorale innovativa [22].
- I compiti nucleari concernono la catechesi, la liturgia, la diaconia e la costruzione di una vera comunità di fedeli, affinché questi si incontrino a vicenda e possano rafforzare gli uni gli altri nella fede in Cristo. Se la storia della secolarizzazione in Olanda a partire dalla seconda metà degli anni ’40 e la diagnosi di Karol Wojtyła ci insegnano una cosa, è questa: la catechesi deve essere spirituale, cioè non deve limitarsi a una trasmissione intellettuale delle verità della fede, ma condurre i bambini, giovani e aduli coinvolti a un rapporto personale con Cristo e a una vita personale di preghiera. La diaconia esprime il volto d’amore della parrocchia. È un segno importante che i numeri più grandi di volontari soprattutto per le opere caritative si trovino fra i fedeli cristiani, soprattutto fra quelli che vanno anche in chiesa, sia protestanti che cattolici [23]. Questo è un segno che la Chiesa, nonostante la secolarizzazione, ha ancora una rilevanza sociale notevole.
- S’intende che la prossimità pastorale, nelle visite a casa, nelle conversazioni personali e nelle confessioni, che era sempre una grande forza della Chiesa, deve essere portata avanti, per quanto alle volte è difficile, visti i numeri bassi di preti e diaconi e il fatto che gli operatori pastorali laici stipendiati spariranno in gran parte, come ho spiegato già sopra.
- Un elemento molto importante per la formazione delle comunità di fedeli a minoranze creative è la “pastorale innovativa” [24]. Questo concerne progetti diretti alla proclamazione del Vangelo a gente che non conosce Cristo o non è ben istruita sulla fede cristiana nel quadro della (ri)evangelizzazione: forme di celebrazioni liturgiche accessibili a tutti, per esempio delle celebrazioni della Parola e della Preghiera a Natale per bambini e i loro genitori che non praticano la fede; l’offerta di una catechesi molto semplice e basale come il corso-Alpha, seguito evidentemente da una catechesi di approfondimento; una preparazione solida degli sposi al matrimonio in chiesa, che comprende sette o otto serate, eventualmente in collaborazione con nuovi movimenti come i “premarriage courses”; nuove iniziative diaconali, metodi innovativi di costruire una vera comunità dei fedeli, in cui questi possono avere rapporti frequenti e significativi fra di loro, per cui si rafforzano gli uni gli altri nella fede in Cristo. Questo è molto urgenti oggi, visto che anche i fedeli sono influenzati dalla cultura individualista odierna e dai mass media e i social media.
Nell’ambito della pastorale innovativa sarà anche necessario far uso delle possibilità speciali che pure la cultura individualista offre per raggiungere i cuori della gente con il messaggio evangelico. Bisogna andare incontro al fatto che l’individualista, pur poco aperto a delle verità astratte, si interessa molto delle biografie di persone la cui vita esprime un messaggio chiaro ed esplicito: le biografie dei santi, ma anche le esperienze personali di fedeli da cui appare che cosa la fede in Cristo significa concretamente e quali ne sono i frutti concreti per loro. Per esempio: nel passato ho fatto delle conferenze sulla sofferenza in base alla dottrina della Chiesa, mentre adesso parlo delle mie esperienze della sofferenza che ho avuto a causa di un infarto del tronco cerebrale nel 2001 dalla prospettiva della fede. Inoltre, la catechesi non deve essere vaga o velata, come capita spesso per paura di ripugnare quelli la cui fede non è forte. L’individualista odierno, volendo distinguersi da altri, si interessa solo a messaggi forti e chiari. Si può tentare così di cristianizzare la cultura individualista secolare attuale o almeno l’atteggiamento di alcuni individualisti.
Epilogo
In ogni caso, il compito più importante per la Chiesa nell’attuale Europa occidentale è di formare la comunità di fedeli rimasti a minoranza creativa, che per una fede forte, vivente e manifesta in Cristo sarà in grado di influenzare la cultura odierna della maggioranza. Questa minoranza creativa può all’inizio solo seminare continuamente senza darsi per vinta e perdere la speranza, quando manchino i frutti immediati. Tuttavia, spetta a noi il seminare e a Dio il raccogliere. Lui è, infatti, il Signore della raccolta (cfr. Mat. 25,14-29).
Willem Jacobus Eijk
29 maggio 2019
La secolarizzazione nel nostro tempo. Ripartire dalle minoranze creative
[1] L. Spruit, KASKI 1946-1996: vijftig jaar sociaal-wetenschappelijk onderzoek, studie en advies ten behoeve van de RK kerk en samenleving in Nederland, Uitgeverij KU Nijmegen, 1997, p. 10.
[2] J. Becker, J. de Hart, Godsdienstige veranderingen in Nederland Verschuivingen in de binding met de kerken en de christelijke traditie, Den Haag: Sociaal en Cultureel Planbureau, 2006, Bijlage B3 ‘Kerkelijkheid’, p. 3.
[3] J. Kregting, J. Massaar-Remmerswaal, Kerncijfers Rooms-Katholieke Kerk 2017: Rapport nr. 653 (settembre 2018), KASKI, 2017, p. 21.
[4] J. de Hart, P. van Houwelingen, Christenen in Nederland: Kerkelijke deelname en christelijke gelovigheid, Den Haag, Sociaal Cultureel Planbureau, 2018, p. 21-22.
[5] Ibid., p. 37.
[6] StatLine, “Bevolking, huishoudens en bevolkingsontwikkeling; vanaf 1899 (29 december 2017),” veda: https://opendata.cbs.nl/statline/#/CBS/nl/dataset/37556/table?ts=1557495903473.
[7] Forschungszentrum Generationenverträge der Albert-Ludwigs-Università Freiburg, “Ergebnisse der koordinierten Mitglieder- und Kirchensteuerprojektion (6 maggio 2019),” veda: http://www.generationenvertraege.de/;Deutsche Bischofskonferenz, “Projektion 2060: Langfristige Projektion der Kirchenmitglieder und des Kirchensteueraufkommens in Deutschland,” veda: https://www.dbk.de/themen/kirche-und-geld/projektion-2060/. L’indagine indica che anche il numero dei membri della Chiesa Evangelica in Germania sarà più o meno dimezzato nel 2060: Evangelische Kirche Deutschlands, “Entwicklung der Kirchenmitgliederzahlen,” veda: https://www.ekd.de/projektion2060-mitgliederzahlen-45532.htm.
[8] DOXA, “Sondaggio Doxa su religiosità e ateismo,” veda: https://www.uaar.it/doxa2019/.
[9] M. van Hulten, “De katholieke kerk in de binnenstad van Amsterdam: Inventarisatie en bemerkingen,” Streven 19 (1965-1966), pp. 513-522, particolarmente la tabella sulla p. 518.
[10] H. Boelaars, G. de Gier, J. van der Hoeven, A. Lutterman, C. Moonen, A.C. Ramselaar, J.N. van Rosmalen, G. Smit, F. Thijsen, J.J.M. van der Ven, J. Vermeulen, Onrust in de zielzorg, Utrecht/Brussel: Het Spectrum, 1949.
[11] A.C. Ramselaar, “Crisis in de zielzorg,” in: H. Boelaars, G. de Gier et al., Onrust in de zielzorg, op. cit., p. 13
[12] J.N. van Rosmalen, “Vervreemding van de Kerk,” in: Ibid., pp. 21
[13] Ibid., p. 22.
[14] A.C. Ramselaar, “Crisis in de zielzorg,” op. cit., p. 11.
[15] J.N. van Rosmalen, “Vervreemding van de Kerk,” op. cit., p. 21
[16] Karol Wojtyła, “Koppig katholicisme,” Kerkelijke Documentatie 30 (2002), pp. 277-285, citaat op p. 283; questo testo fu scoperto per caso nel archivio di un giornalista polacco e amico di Karol Wojtyła nel 1999 e tradotto in olandese da D. Wienen; vgl. D. Wienen, “Jonge Wojtyla prijst ‘koppige’ Nederlandse katholieken,” Kerkelijke Documentatie 30 (2002), pp. 381-382.
[17] Ch. Taylor, Varieties of Religion Today: William James Revisited, Cambridge/London: Harvard University Press, 2002, pp. 79-107.
[18] Jerusalem Talmud, Sanhedrin 4:1 (22a).
[19] Benedetto XVI, “Intervista concessa dal santo padre ai giornalisti durante il volo verso la repubblica ceca” (26 settembre 2009), veda: http://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/speeches/2009/september/documents/hf_ben-xvi_spe_20090926_interview.html.
[20] Cfr. Encyclopædia Britannica, “Arnold Toynbee,” Online Academic Edition (2014), April 6; cfr. A.J. Toynbee, A study of history. Vol. I Introduction: The Geneses of Civilizations, part one, Oxford: Oxford University Press, 1934 and A study of history. Vol II: The Geneses of Civilizations, part two, Oxford: Oxford University Press, 1934.
[21] W.J. Eijk, “Geloof in tijden van kerksluiting (Credere in tempi in cui si chiudono delle chiese, 25 oktober 2013),” p. 2 (veda: https://www.aartsbisdom.nl/wp-content/uploads/2017/07/2013-10-25-Geloof-in-tijden-van-kerksluiting.pdf).
[22] W.J. Eijk, “Het geloof in Christus vieren en verbreiden in het derde millennium van de 21ste eeuw (Il celebrare e il diffondere la fede in Cristo nel terzo millennio del ventunesimo secolo, 23 novembre 2014),” pp. 5-6, veda: https://www.aartsbisdom.nl/wp-content/uploads/2017/07/2014-11-21-Toekomstperspectieven-voor-parochies-definitief-site.pdf.
[23] J. de Hart, P. van Houwelingen, Christenen in Nederland …, op. cit., pp. 66-68.
[24] Ibid., p. 6.