Perché il nuovo lessico adottato ufficialmente dal Guardian per parlare del global warming è più allarmante dell’allarme global warming.
Se non si riesce a convincerle, come si fa a costringere le persone a vedere le cose in un certo modo? Occorre innanzitutto impadronirsi delle loro parole. Non c’è più bisogno di leggere Orwell per comprendere l’efficacia di questa regola base del potere. Basta dare un’occhiata al Guardian e alle sue nuove linee guida per descrivere i cambiamenti climatici. Qualche giorno fa, infatti, il direttore del celebre quotidiano britannico, Katharine Viner in persona, ha deciso di diramare ai suoi redattori un memo per assicurarsi che «i termini che utilizziamo» a proposito dell’ambiente «riflettano con precisione i fenomeni che descrivono».
Non basta più sparare a ripetizione articoli-manifesto allarmanti e disperati (come questo proprio del Guardian) su quanti pochi anni ci restano prima di morire tutti noi disidratati o arrostiti dal caldo, salvo poi dover aggiornare continuamente il countdown verso un armageddon che non arriva mai. È necessario alzare l’asticella, o meglio la temperatura percepita intorno al tema. Occorre che il senso di emergenza climatica diventi indiscutibile, acquisito una volta per tutte, non più problematizzabile. Nemmeno i termini che si usano per designare queste cose devono lasciare adito a obiezioni o anche solo a domande. La signora Viner è convinta che ciò significhi essere più «fedeli ai fatti». E dunque, per assicurarsi di essere più «fedeli ai fatti», i giornalisti del Guardian d’ora in poi dovranno parlare non più di “global warming”, ma di “global heating”, mentre chi si ostina a mettere in dubbio l’allarme andrà definito non “scettico”, bensì, molto più suggestivamente, “negazionista”.
L’OFFENSIVA LESSICALE
Nessun obbligo, per carità, «i termini originali non sono vietati», ha concesso il direttore del Guardian nella nota per i suoi giornalisti, «ma dovete pensarci due volte prima di utilizzarli». Perché? È chiaro il perché:
«L’espressione “cambiamento climatico”, per esempio, suona piuttosto passiva e delicata quando quello di cui parlano gli scienziati è una catastrofe per l’umanità».
Bisogna rendere atto al Guardian di avere avuto almeno l’onestà intellettuale di dichiarare apertamente le regole e i motivi della nuova strategia di persuasione. Cosa che però nulla toglie al disagio provocato da questa specie di offensiva lessicale in ogni lettore dotato di senso critico: l’idea, da parte di uno degli organi di informazione più seguiti al mondo, di far passare una certa visione delle cose semplicemente manipolando le parole usate per definirle è, appunto, vagamente orwelliana. Tanto più nell’ambito di una materia complessa e controversa come il clima.
I DENIERS DEL BREAKDOWN
Ma quali sono i rudimenti della Neolingua meteorologica del Guardian? Eccone un assaggio, tratto dalla nota del direttore (le virgolette sostituiscono i neretti del testo originale):
«Usate “climate emergency”, “crisis” oppure “breakdown” invece di “climate change”
Usate “global heating” invece di “global warming”
Usate “wildlife” invece di “biodiversity” (quando opportuno)
Usate “fish populations” invece di “fish stocks”
Usate “climate science denier” oppure “climate denier” invece di “climate sceptic”».
James, surely you didn’t see this coming? pic.twitter.com/nMqonsGs8a
— Chad (@StopStlknMeJake) 17 maggio 2019
Non serve un inglese particolarmente fluent per cogliere la rilevanza della forzatura linguistica. Il fievole tepore evocato dalla parola “warming” diventa l’allarmante incandescenza del termine “heating”; un semplice, quasi banale cambiamento climatico (“change”) evolve in una spaventosa emergenza, una crisi, addirittura un collasso (“breakdown”). Ma probabilmente il vero capolavoro subliminale è il nuovo marchio coniato dal Guardian per stigmatizzare i dissidenti del global heating: essi non saranno più chiamati “scettici”, saranno bollati direttamente come “deniers”, guarda caso lo stesso termine che gli anglosassoni dedicano ai negazionisti dell’Olocausto. Ma non basta: i nuovi negazionisti devono sapere che quel che negano non è soltanto una teoria scientifica come le altre, bensì la “scienza del clima” in quanto tale.
L’HO VISTO ALLA BBC
Argomenti a supporto di tutto questo? Oltre alle filippiche (politiche) del segretario dell’Onu António Guterres, il Guardian menziona le tesi di un professore del Met Office britannico (che sarà pure uno scienziato e forse perfino in ottima compagnia, ma sicuramente non è “la scienza”). Poi cita la Bbc, che nello scorso settembre ha pensato bene di raddrizzare i suoi talk show troppo equilibrati sul tema del clima spiegando che «non c’è bisogno di un “negazionista” per bilanciare un dibattito»; e infine l’immancabile Greta Thunberg, ovviamente favorevolissima all’adozione della Neolingua climatica. Tutti appigli perfetti per restare «fedeli ai fatti».
Pietro Piccinini
27 maggio 2019
Non credi al “collasso climatico”? Sarai chiamato “negazionista”