Il primo giugno scorso, si è svolta a Modena la marcia dell’orgoglio gay, con il solito stile a dir poco grossolano a cui ormai siamo da tempo abituati. È noto come, durante queste manifestazioni, accada di tutto e che gli strali dei manifestanti vadano a colpire indistintamente ogni tipo di idea avversa alla cultura dell’orgoglio gay, non risparmiando nemmeno il sacro. Ma si sa, alla comunità Lgbt tutto è permesso, persino le sfilate apertamente blasfeme: abbiamo ancora negli occhi le immagini del gay pride di Pompei, tenutosi la scorsa estate, dove, è bene ricordarlo, ha sfilato un “Papa Francesco arcobaleno” e persino una Madonna gay impersonata da un uomo travestito con un abito sgargiante e una parrucca biondo platino con le braccia rivolte, in senso di accoglienza, verso gente che si scatenava in slogan non di certo ortodossi.
E guai ad alzare la voce, perché si viene definiti anche omofobi e intolleranti. Tant’è che a Modena, di fronte alla prospettiva del solito siparietto al limite dell’osceno, un gruppo di cittadini ha deciso di riunirsi in un comitato titolato al Patrono di Modena: San Geminiano Vescovo.
Il comitato, formato da giovani cattolici della diocesi e capeggiato da Cristiano Lugli, ha organizzato, come si legge in un loro recente comunicato, «una Processione di pubblica riparazione per lo scandalo del Modena Pride» e subito dopo ha fatto partire una serie di camion vela con la locandina dell’evento. La risposta di Arcigay Modena non è tardata ad arrivare: dopo essersi stracciati le vesti ripetutamente e aver denunciato il solito ritorno al Medioevo, insieme alle immancabili accuse di omofobia, si è passati ai fatti, inviando due emissarie a farsi fotografare davanti a uno dei camion vela, in giro per Modena, e proprio sotto l’immagine del Sacro Cuore, in un bacio tutt’altro che casto. Foto che è stata poi trasformata addirittura in una locandina del “pride” e recante anche la scritta (verrebbe da dire “oltre il danno anche la beffa”…) «il nostro amore ci ripara già dal vostro odio».
Insomma, un gesto davvero di abile ipocrisia se si è arrivati a commentare un atto così aggressivo verso il sacro, sfoderando anche il solito vittimismo omosessualista. Perché ovviamente chi la pensa diversamente dai diktat Lgbt si può insultare, sbeffeggiare, calpestare, chiamare con ogni sorta di dispregiativo, ma guai se la controparte fa la stessa cosa o alza anche solo la voce per difendere ciò che ha di più caro. Ma la violenza dell’ideologia, oltre al sacro, non risparmia nemmeno i più deboli e indifesi: i bambini, che ormai da tempo sono costretti a sfilare, in compagnia degli adulti, durante queste carnevalate estemporanee, e costretti ad assistere talvolta anche a spettacoli indecorosi.
Insomma ogni mezzo è lecito, in queste che ormai sono diventate delle vere e proprie parate del cattivo gusto, ma guai a chiamarle così, perché la maggior parte dei media le rimbalzeranno sempre e solo come l’ultima frontiera della lotta per i “diritti”. Diritti per tutti? Tranne per chi si sente urtato da certe manifestazioni e per questo merita il bavaglio di una violenta censura a colpi di atti blasfemi e, nel migliore dei casi, genericamente offensivi. Ma si sa…love is love…!
Manuela Antonacci
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