Due prodotti su dieci, secondo la Repressione Frodi, sono concimati con fertilizzanti illegali, in qualche caso anche nocivi per l’uomo. Ma così si guadagna di più, come spiega questo articolo.
Ci si ammala a causa di inalazioni di elevate quantità di fumo prodotto dai combustibili utilizzati per cucinare o per riscaldarsi. A questo si aggiunge l’inquinamento che colpisce tutti, causato dal trasporto, dai fumi dell’industria, dalle discariche di sostanze che contribuiscono all’acidificazione del suolo e dell’acqua, da fertilizzanti, insetticidi, fungicidi, diserbanti e pesticidi tossici in generale.
Laudato Si’ n.20
Attenti alla mela che comprate. Soprattutto se è biologica. Molti prodotti della terra sono concimati con fertilizzanti illegali. Due su dieci, secondo i controlli della Repressione Frodi. Spesso contengono “solo” principi attivi vietati dalla legge, ma in qualche caso nascondono anche sostanze velenose per l’uomo. È il caso della matrina, un alcaloide usato nei Paesi poveri come pesticida, perché costa poco. Recentemente, sono state sequestrate nel Lazio grandi quantità di fertilizzanti alla matrina. Li usavano per coltivare ortaggi biologici.
Scoprire che nei concimi autorizzati per le produzioni bio possono trovarsi sostanze come il glifosate è una di quelle notizie che fanno tremare i fatturati. Non solo quelli delle aziende chimiche, accusate di essere gli “untori” di moderne pestilenze alimentari.
«Non sempre quello che si presenta nella confezione come bio di fatto lo è» ammoniva nel 2011 lo Spiegel avvisando i consumatori tedeschi che c’erano in giro 700mila tonnellate di falsi prodotti biologici, venduti da «truffatori italiani». Quello scandalo fece molto male al made in Italy. L’ingordigia di alcuni fornitori aveva portato a vendere prodotti convenzionali come se fossero biologici, a prezzi tre volte superiori; oggi scopriamo che si lucra anche sui costi di produzione, utilizzando prodotti vietati perché sono meno cari di quelli autorizzati, impongono meno adempimenti burocratici e passano più facilmente attraverso le maglie dei controlli. Non c’è neanche il rischio che esploda uno scandalo, perché in Europa li usano tutti.
Non stiamo parlando del solito contrabbando cinese. Non pensate a fusti anonimi, sbarcati nottetempo da una oscura portacontainer. Si tratta di formulati commercializzati alla luce del sole in tutta Europa. Etichettati. Di più: pubblicizzati. I tre prodotti sequestrati erano distribuiti alle aziende bio da una multinazionale, attiva anche in Francia e Spagna, da dove proviene molta dell’ortofrutta che mangiamo. Non si tratta di un caso isolato.
Siamo di fronte a una pratica elusiva attraverso la quale si producono antiparassitari cammuffati da concimi e si fanno profitti milionari. Giova ricordare che l’IVA sui fertilizzanti è del 4%, contro il 10 degli agrofarmaci; non ci sono tasse di registrazione; non viene applicato il prelievo di legge del 2%; il ciclo di produzione industriale del concime è meno costoso.
Ciò che distingue un pesticida da un fertilizzante è la funzione fitoiatrica (curativa) del primo e proprio per questo prima di commercializzare un agro farmaco è necessaria l’approvazione da parte delle autorità europee e nazionali. Produrre quel dossier può costare fino a 250 milioni di euro, in quanto deve dimostrare l’innocuità del prodotto per uomo e ambiente. Al contrario, per commercializzare un concime è sufficiente una dichiarazione del produttore che espliciti le sostanze più importanti contenute nel prodotto. Neanche tutte. Ci sarebbe una commissione tecnico-consultiva per vagliare le domande ma non si riunisce da qualche anno.
Torniamo all’inchiesta che potrebbe scoperchiare il vaso di Pandora. I tre prodotti sequestrati erano inseriti nel registro dei fertilizzanti autorizzati dal Ministero delle politiche agricole e la multinazionale in questione è tuttora iscritta nel registro dei produttori autorizzati. Se non si prova il dolo, aggirare l’obbligo di registrare il formulato che ha effetti fitoiatrici comporta solo una sanzione, spesso esigua. Sorprende, semmai, la sfrontatezza d’altri tempi con cui si commercializza ciò che è illegale: circolano dépliant di fertilizzanti che dimostrano una miracolosa capacità di sterminare pidocchi, annientare afidi, curare l’oidio o cacciare le larve dal terreno. Come se fossero insetticidi e fungicidi. Affinché l’agricoltore non possa confonderli, vengono venduti anche con nomi che richiamano il target, cioè insetti o muffe.
Agrofarma e Assofertilizzanti, che riuniscono le imprese che producono rispettivamente antiparassitari e concimi, sollecitano i propri associati ad evitare un uso improprio dei prodotti: «numerose imprese lamentano sul territorio – dichiarano – un frequente e scorretto impiego dei mezzi tecnici a base di micro e meso elementi quali rame e zolfo». Ammettono «pratiche elusive». Segnalano un «fenomeno che sta assumendo dimensioni preoccupanti». Escludono che si tratti solo di forzature pubblicitarie: «la redazione di claim che lasciano sottintendere il possesso da parte dei fertilizzanti di proprietà fitoiatriche, oltre a contravvenire alle norme, potrebbe far inquadrare i prodotti sotto una categoria diversa» ricorda Assofertilizzanti.
Dal punto di vista chimico, il discrimine va cercato nella concentrazione. Prendiamo un microelemento come il rame, usato nelle vigne: ne basta un po’ per arricchire la composizione del terreno, ma lo stesso formulato utilizzato a dosi massicce ha un’azione antiparassitaria. Lo si compra per concimare e lo si usa per combattere la peronospora? Difficile provarlo, ma l’abuso di rame negli anni scorsi è stato talmente sfrenato che l’Unione europea ha dovuto emanare un regolamento per limitarne l’utilizzo. Perché il problema non è solo la salute umana, ma anche la contaminazione delle acque e dei terreni.
Sul piano giuridico, sono legali le sostanze dual use – un’azienda può usare il rame per creare fitofarmaci come pure per creare fertilizzanti – ma non i formulati dual use: anche se quasi tutti i concimi sono commercializzati sotto forma di concentrati e vanno pertanto diluiti, è illegale utilizzarli nelle concentrazioni prescritte per i fitofarmaci e istruire i clienti a farlo.
A prescindere dal risvolto penale, le sanzioni sono risibili. In teoria, la violazione della normativa europea può comportare multe fino a 250mila euro. Sempre in teoria, poiché la vendita e l’impiego di questi prodotti chimici è possibile solo se si possiede l’apposito patentino, sono sanzionabili anche rivenditori e agricoltori. Per non dire delle società di certificazione del biologico, che mettono la loro firma su prodotti che biologici non sono. Nella realtà, pagano in pochi e raramente.
Il mercato di questi antiparassitari camuffati continua a crescere perché il fertilizzante all inclusive, che al tempo stesso nutre e difende la pianta, permette all’agricoltore di risparmiare, ma il vero “valore aggiunto” dell’azione criminale è che la mela trattata con questi prodotti è considerata la più pura del mercato.
Per legge, ogni trattamento con agrofarmaci deve essere registrato nel quaderno di campagna, che accompagna il lavoro agricolo dalla semina al raccolto, ma non esiste lo stesso obbligo quando si concima: poiché i supermercati esigono sempre più spesso produzioni a residuo zero, parte avvantaggiato l’agricoltore che può dimostrare di non aver effettuato trattamenti chimici, presentando registri illibati. Finché, in laboratorio, non spunta una matrina.
Paolo Viana
1 giugno 2019
https://www.avvenire.it/attualita/pagine/concimi-al-veleno-e-biologico