Non è rassicurante che si possa impunemente incitare alla eliminazione fisica di un uomo perché difende la vita e la famiglia, e che al tempo stesso quella persona sia condannata per l’esposizione pubblica di idee contestate evocando il cappio.
Non entriamo nel merito della sentenza che ieri ha ritenuto la responsabilità per diffamazione del prof. Massimo Gandolfini, in attesa di leggerne le motivazioni. Osserviamo a margine che:
- resta sospesa la soluzione del necessario bilanciamento fra “l’ingerenza giudiziaria”, frutto di una “pressione sociale”, e una manifestazione di pensiero, cui ha richiamato di recente la sezione I della Corte EDU (sent. 7/03/2019 Sallusti c. Italia, ric. 22350/13). Tale decisione ha condannato l’Italia per una pronuncia per diffamazione a carico di un giornalista italiano, ravvisando il contrasto con l’art. 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che tutela la libertà di espressione: essa appare contraddetta dalla sentenza a carico del prof Gandolfini;
- ha invece conosciuto una accelerazione la sequenza di processi e di condanne nei confronti di esponenti del mondo pro family;
- non si ha notizia di iniziative giudiziarie o di condanne nei confronti di coloro che turbano lo svolgimento di iniziative pubbliche pro family e pro life, interrompendole e impedendo ai relatori di parlare, né – per restare alla figura del prof. Gandolfini – nei confronti di chi esibisce in tali circostanze immagini o scritte di esecuzioni capitali.
Non è rassicurante che si possa impunemente incitare alla eliminazione fisica di un uomo perché difende la vita e la famiglia, e che al tempo stesso quella persona sia condannata per l’esposizione pubblica di idee contestate evocando il cappio.
Centro Studi Livatino 11 giugno 2019