Il tabù che impedisce alla scienza di indagare come dovrebbe sull’omosessualità

By 22 Settembre 2019Gender

Un maxi studio pubblicato su Science conferma: l’omosessualità non si può spiegare solo geneticamente. 

Pubblichiamo un articolo di Christian Spaemann, affermato psichiatra tedesco, figlio del compianto filosofo Robert Spaemann, apparso originariamente il 6 settembre scorso nel settimanale cattolico Die Tagespost. Il testo, tradotto per Tempi da Giuseppe Reguzzoni, è un commento a uno studio sull’omosessualità presentato dai giornali come la dimostrazione scientifica del fatto che non esiste un “gene gay”, e che invece l’orientamento sessuale delle persone è determinato dall’interazione di molti fattori, non solo genetici. I risultati di tale ricerca sono stati pubblicati a fine agosto dalla rivista Science.

Ancora uno studio sull’omosessualità. E ancora una volta niente di davvero nuovo. Non c’è da meravigliarsi: valutare correttamente l’attrazione omosessuale esige un modo di procedere ampio e differenziato, che si accosti a questo fenomeno nel contesto della sessualità umana, della complessità relazionale, della biologia e della psicologia. Dato che, poi, il nostro modo di guardare la persona umana non è mai scevro da presupposti filosofici, un tale sguardo sarà sempre in qualche modo controverso. Ed è una controversia che, oggi, in tutto il mondo occidentale affonda principalmente le sue origini negli anni Settanta del secolo scorso. I sostenitori dei paradigmi della “parità” e della “non discriminazione”, che a tutt’oggi dominano il discorso sociale, hanno preso pieno possesso di questo tema. Da allora, il punto non è più la tolleranza o il venir meno di reali forme di discriminazione degli omosessuali, ma l’affermazione di una ideologia.

LA CENSURA DI OGNI DIFFERENZA

Per quel che riguarda la discriminazione, basterebbe richiamarsi al principio giuridico: «Quel che è uguale deve essere trattato allo stesso modo e ciò che è diverso può essere trattato diversamente». Escludere un omosessuale dalla presidenza della Deutsche Bank sarebbe discriminazione. Non consentire a una coppia omosessuale il diritto di adozione non sarebbe, invece, discriminazione, perché per il bambino fa la differenza se ha un padre e una madre o due madri o due padri.

Torniamo allora all’imposizione di un’ideologia. Il pensiero degli intellettuali post-strutturalisti, secondo cui il riconoscimento delle differenze tra le persone comporterebbe già di per sé dei rapporti di dominio e di potere, ha costantemente guadagnato di influenza sulla società. Esso, in una sorta di nominalismo radicale, comportava e comporta che si voglia del tutto prescindere da ogni differenza tra le persone, come quella tra uomo e donna, tra sano e malato, tra normale e anormale, tra naturale e non naturale, modificando sistematicamente in questa direzione la coscienza sociale.

ESCE DI SCENA IL BENE COMUNE

I deficit umani non verranno più compensati dalla solidarietà e dalla compassione, ma semplicemente ridefiniti come se nulla fossero. Una persona che nascesse con tre arti, dovrebbe allora sentirsi bene solo se l’umanità la smettesse di considerare normale la presenza di quattro arti.

Gli omosessuali, che per la maggioranza chiedevano solo di essere lasciati in pace e di non dover subire degli svantaggi sociali, sono stati strumentalizzati come “propellenti della diversità” per questa ideologia della pluralità di genere e sono stati schierati contro la “eteronormatività” della società. Di certo, e da molto tempo, in questo cambiamento di mentalità quel che sta a cuore non sono le persone coinvolte. Le differenze, pur statisticamente significative, nelle finalità di vita di uomo e donna, l’importanza per i bambini della famiglia naturale, con un padre e una madre, tutto questo, in forza di tale ideologia, non deve giocare più alcun ruolo nell’evoluzione della società. In breve: la felicità del singolo e il bene comune, il bonum commune, escono di scena, costi quel che costi, fosse pure il nostro stesso futuro.

LA DOMANDA CHE NON SI VUOLE PORRE

Quando si tratta di confrontarsi con l’omosessualità, quel che ne segue è che da decenni, nella ricerca scientifica, si interrogano solo dati grezzi, senza porsi la domanda su come sorga l’attrazione omosessuale all’interno di una concezione di sviluppo bio-psico-sociale.

Non sorprende, allora, il risultato dello studio da poco pubblicato su Science, in cui vengono elaborati i dati di circa 500.000 persone. Si sapeva già prima che l’omosessualità non è spiegabile geneticamente. In ogni caso, ciò non esclude dei fattori biologici, per esempio le influenze ormonali intrauterine. Tuttavia, in questo caso non si tratta di nulla più che di fattori predispositivi.

Davvero importanti sono ben altri dati, ovvero quelli che ci dicono che l’attrazione omosessuale è altamente fluida nel periodo della pubertà, che solo l’1,5 per cento dei maschi prova stabilmente dei sentimenti omosessuali, che le persone interessate spesso provengono da famiglie spezzate o conflittuali, che le relazioni tra persone omosessuali sono estremamente fragili, che gli omosessuali statisticamente provano più spesso attrazione sessuale verso bambini e giovani che non gli eterosessuali, che gli omosessuali sono statisticamente molto più soggetti a malattie psichiche e suicidi degli eterosessuali. Tutto questo, se considerato correttamente, non si spiega con la discriminazione sociale e la cosiddetta “omofobia”.

IL CONFRONTO NEGATO

Oggi sappiamo che la sessualità, anche quella degli eterosessuali, nella sua complessità si trova a essere influenzata dal vissuto specifico di ogni persona, con le proprie ferite, e da tutta una serie di motivi non sessuali. Dalle innumerevoli testimonianze individuali di psicoterapeuti degli ultimi cento anni, si può constatare che l’attrazione omosessuale spesso ha uno sfondo psicodinamico nelle relazioni con il padre e la madre, oltre che con il peergroup dello stesso sesso.

Molti omosessuali trovano un grande aiuto nell’elaborare queste esperienze, spesso molto dolorose. Non è certo un mistero che, nel far questo, anche l’orientamento sessuale si rimette in moto. Tuttavia, parlare apertamente di questo è ancora un tabù. Si impedisce attivamente un confronto psicoterapeutico con il tema dell’omosessualità.

Come ha mostrato il vertice romano sugli abusi, anche degli importanti esponenti della stessa Chiesa cattolica subiscono gli effetti di questo tabù. Essi chiudono gli occhi davanti a coloro che hanno seriamente affrontato questo problema e finiscono, invece, per associarsi al processo di appiattimento, autodistruttivo e senza precedenti, di questa ideologia che non tollera le diversità, gettando al vento il diritto naturale e, con esso, il magistero della Chiesa. Ma le ideologie hanno le gambe corte e si dimostrerà che i loro discepoli non hanno futuro nella Chiesa.

Christian Spaemann

11 settembre 2019

Il tabù che impedisce alla scienza di indagare come dovrebbe sull’omosessualità