Tra i molti elementi che configurano il governo Pd-M5S come una seria minaccia alla tenuta della società e della stessa democrazia italiana, uno è a mio avviso particolarmente grave: l’intenzione della nuova maggioranza di modificare la legge elettorale in senso integralmente proporzionale. Che Conte e i partner della sua raffazzonata coalizione dichiarino esplicitamente di volere la legge elettorale proporzionale per rendere in futuro più difficile – se non impossibile – una vittoria di Matteo Salvini alle urne è la più plateale dimostrazione del fatto che la filosofia del nuovo esecutivo è quella del “gioco delle tre carte”, in cui gli elettori giocano tutt’al più il ruolo di spettatori tifosi
Tra i molti elementi che configurano il governo Pd-M5S come una seria minaccia alla tenuta della società e della stessa democrazia italiana, uno è a mio avviso particolarmente grave: l’intenzione della nuova maggioranza, ribadita nel suo discorso alla Camera dal Presidente del Consiglio, di modificare la legge elettorale in senso integralmente proporzionale. Il rovesciamento senza precedenti di maggioranza e programma senza passare da nuove elezioni – per giunta pilotato platealmente dai vertici Ue e dall’asse Parigi-Berlino e combinato con lo scopo dichiarato di escludere dal potere le forze sovraniste che raccolgono il maggior consenso degli elettori – ci ha già riportato in una logica di parlamentarismo assembleare, in cui il voto popolare può essere interpretato dagli eletti a loro piacimento. Ma che addirittura Conte e i partner della sua raffazzonata coalizione dichiarino esplicitamente di volere la legge elettorale proporzionale per rendere in futuro più difficile – se non impossibile – una vittoria di Matteo Salvini alle urne è la più plateale dimostrazione del fatto che la filosofia del nuovo esecutivo è quella del “gioco delle tre carte”, in cui gli elettori giocano tutt’al più il ruolo di spettatori tifosi.
Tutti i sistemi proporzionali tendono per loro natura inevitabilmente ad aumentare la frammentazione politica, e a rendere più fragili, incoerenti e instabili le maggioranze: a meno che essi non siano bilanciati da correttivi efficaci come sbarramenti, collegi elettorali di dimensioni ridotte o una qualche forma di investitura diretta o indiretta del potere esecutivo (presidenzialismo, semipresidenzialismo, premierato).
Nell’Italia della “prima Repubblica”, dove tali istituti non furono previsti in Costituzione e la loro introduzione fu sempre ferocemente osteggiata dal sistema dei partiti, la legge proporzionale con scrutinio di lista incentivò una cronica debolezza e precarietà degli esecutivi: in qualche modo però “giustificata” dallo “scontro di civilta” della guerra fredda, dalla conventio ad exludendum verso i comunisti e, simmetricamente, dalla “condanna” della DC a governare sempre come un “partito-Stato”, a patto però che non governasse troppo.
Nella “seconda Repubblica” la pressante richiesta di una democrazia dell’alternanza e di una semplificazione del quadro politico da parte della società civile venne realizzata, per converso, soprattutto grazie al passaggio ad una legge elettorale prevalentemente maggioritaria/uninominale: esito pressoché obbligato del referendum Segni del 1993. Che tale trasformazione continuasse a essere indigesta a gran parte della classe politica italiana, più propensa a meccanismi elettorali utili ad assicurare ad essa maggiore spazio di manovra in parlamento, è dimostrato ampiamente dal quasi totale boicottaggio di norme che completassero la transizione verso un sistema bipolare di modello anglosassone. E, soprattutto, dal generale cedimento – anche da parte dei partiti maggiori che più beneficiavano dell’effetto maggioritario – alle pressioni dei centristi post-democristiani per un ritorno ad una logica proporzionalistica: che venne sancita a partire dal 2005 dalla nuova legge Calderoli (il cosiddetto “Porcellum”), benché in parte fosse ancora frenata da un consistente premio di maggioranza alla coalizione vincente.
Il logoramento del bipolarismo italiano nella grande crisi globale a partire dalla fine degli anni Zero, l’avvento dei “tecnici” e l’esplosione dell’antipolitica (della quale il movimento 5 Stelle è stata l’incarnazione più rilevante) hanno provocato poi un rapido smottamento di qualsiasi assetto bipolare e di ordinata alternanza, dando ulteriore fiato ai ricorrenti disegni di spezzare il legame tra voto popolare e maggioranze di governo per restituire mano libera ai giochi tra le forze politiche. La breve egemonia di Matteo Renzi, che pareva avviare (con il cosiddetto “Italicum”) una nuova svolta maggioritaristica, si è conclusa nel 2017 con il compromesso della legge elettorale Rosato (“Rosatellum bis”): sistema misto in cui, principalmente proprio per la pressione degli antimaggioritaristi 5 Stelle, il 60% degli eletti veniva attribuito attraverso liste bloccate, e che avrebbe dovuto sancire un quadro politico sostanzialmente tripolare tra centrodestra, Pd e grillini. Un quadro scardinato dal grande successo pentastellato e leghista alle elezioni del 2018, da cui è nata la soluzione inedita del “contratto” gialloblu.
Ora, con il varo della maggioranza ultra-trasformista tra due forze politiche chiaramente in minoranza nell’opinione pubblica, la nuova opzione per il proporzionale viene vista da entrambe come un’ancora di salvezza. Con essa tanto i grillini quanto il Pd cercano di sancire ufficialmente la propria trasformazione in funamboli pronti ad approfittare di qualsiasi combinazione e manovra parlamentare pur di mantenere i propri seggi, nella più totale assenza di una linea politica degna di questo nome: successori in tono minore del correntismo democristiano che fu. Il loro obiettivo è quello di entrare pienamente nell’epoca della post-democrazia, sotto l’egida dei vertici Ue e di un Colle “amico”, ripristinando totalmente la “delega in bianco” ai partiti tipica della “prima Repubblica”. Ed anzi portandola a perfezione in uno scenario diverso, “liquido”, in cui praticamente ogni alleanza diviene possibile. E in cui, nella desertificazione delle strutture partitiche, la delega in bianco viene assegnata soltanto a pochi capi, “elevati” dal potere assoluto ed insindacabile.
Chiunque si opponga a questo scenario e voglia lavorare per il ripristino della fisiologia democratica, dell’alternanza, di maggioranze coese e responsabili, deve battersi innanzitutto contro ogni tentazione di proporzionalizzazione, rifiutando le logore e false giustificazioni secondo cui essa darebbe maggiore rappresentanza alle voci minoritarie. E per orientare nuovamente la democrazia italiana verso gli unici modelli di pluralismo governante, in cui gli elettori contano sul serio: quelli anglosassoni.
di Eugenio Capozzi
12 settembre 2019
Fonte: l’Occidentale