Così la piccola Tafida Raqeeb continuerà a vivere. La lettura della sentenza con cui l’Alta Corte britannica ha respinto, ieri, la richiesta del Royal London Hospital di sospendere i trattamenti che tengono in vita la bambina di 5 anni, in stato di minima coscienza da febbraio, avviene nell’aula 39 del Queen’s building in un clima di incredula felicità. Per ben due volte, lo stesso tribunale, in qualche stanza lì accanto, ha decretato la morte di altri due bambini gravemente disabili: Charlie Gard e Alfie Evans. Il pronunciamento del giudice Alistar MacDonald è secco e veloce: «Tafida deve continuare a ricevere le terapie vitali di cui necessita”, nel Regno Unito o, come chiede la famiglia, in Italia, all’Istituto Giannina Gaslini di Genova. Per i genitori della piccola – Shelina Begum, 39 anni, e Mohammed Raqeeb, 45 annni – è la fine di un incubo. La forza da entrambi dimostrata durante la loro lunga battaglia, e ostentata fino a qualche settimana fa, quando ha avuto inizio il ciclo di udienze che ha portato alla sentenza, sembra, alla lettura del verdetto, cedere il passo alla stanchezza.
All’uscita del palazzo di giustizia, mamma Shelina non parla più a braccio ai giornalisti, come ha sempre fatto, ma legge una nota memorizzata sul cellulare. Alle sue spalle, a sostenerla con lo sguardo che trattiene a malapena le lacrime, c’è persino l’anziana nonna di Tafida, Vansia. «Tafida, lo abbiamo detto sin dall’inizio, non sta morendo – dichiara Shelina – ma migliora ogni giorno. È stata un’esperienza terribile e traumatica, ma è finita. La nostra priorità è adesso trasferire nostra figlia in Italia il prima possibile». Segue una lunga lista di ringraziamenti: agli amici, ai volontari, «all’imam e ai leader delle altre religioni che ci sono stati accanto».
Uno particolare è rivolto «agli italiani che vorremmo continuassero a sostenerci anche quando arriveremo a Genova». Il pensiero di Shelina va quindi a papa Francesco: «Chiedo che venga a trovare Tafida quando saremo in Italia». Alla luce dei casi precedenti, quelli in cui il «miglior interesse a morire» ha prevalso sulle possibilità di recupero («inesistenti» anche per Tafida, secondo l’ospedale), la portata della sentenza è enorme. L’elemento di novità introdotto dagli avvocati nella strategia difensiva, lo ricordiamo, è stato il “fattore religioso”.
Per Tafida è stato invocato non solo il diritto alla libertà di cura e di movimento in Europa, ma anche al trasferimento in un Paese che tuteli, dal punto di vista medico, i precetti della religione di appartenenza della bambina, ovvero quella musulmana.
Il Consiglio islamico europeo ha emesso una fatwa ad hoc per Tafida nell’intento di ribadire che toglierle i trattamenti vitali sarebbe stato «inammissibile». Paul Conrathe, uno dei legali che hanno lavorato al caso, dosa con moderazione l’uso del fattore religioso: la fede musulmana dei Raqeeb, spiega, «è stato un elemento bilanciato» da tanti altri, compreso il quadro clinico.
La fondazione Barts, che gestisce il Royal London Hospital, può adesso decidere di fare ricorso alla Corte Suprema e tentare un capovolgimento del giudizio. La decisone è attesa nelle prossime ore, ma potrebbe essere formalizzata in due settimane. «Confidiamo – aggiunge Conrathe – che, in tale eventualità, il giudice possa confermare il verdetto».
La vita di Tafida, che secondo alcuni esperti potrebbe superare i vent’anni, ricomincerà dunque in Italia. È qui che anche un altro bimbo britannico ha ottenuto una seconda possibilità. Alex, affetto da una rara malattia genetica, è stato trasferito dal Great Ormond Street di Londra al Bambino Gesù di Roma per un delicato, riuscito, trapianto di cellule staminali emopoietiche da genitore.
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