L’atto omicida di ogni uomo elevatosi a demiurgo divino dei propri simili o di quanti considera esclusi da quel mondo che lui ha progettato, non ha alcuna prospettiva realmente generativa. Questo perché nell’esecuzione dei suoi obiettivi, egli elabora e attua una serie di azioni di morte dirette a modellare l’uomo sulla base di princìpi assolutizzati, dove l’umanità viene dapprima spogliata della sua condizione creaturale, delle sue aspirazioni più alte e poi eliminata.
Nell’attentato contro la comunità ebraica di Halle, città della Sassonia, cuore della Germania, non vanno ignorati alcuni singolari dettagli che ci aiutano a collocare nel quadro simbolico, oltre che in un contesto criminale, le antiche e rinnovate strategie dell’antisemitismo. Anzitutto la concomitanza con Yom Kippur, la solenne festa dell’espiazione che segue all’avvio del nuovo anno ebraico. Il famigerato medico di Auschwitz Josef Mengele nell’esercizio delle sue funzioni si riteneva investito non solo di un ruolo scientifico. Egli nella sua veste si considerava legittimato a decretare la vita o la morte dei prigionieri, inserendo così se stesso e la sua aberrante condotta, contraria a ogni principio ippocratico, in un orizzonte pseudo-escatologico. Si racconta in proposito un tragico ma emblematico aneddoto.
Mengele amava eseguire la selezione dei deportati a Yom Kippur, giacché sapeva che in quel giorno il giudizio divino decreta chi vive e chi muore. In tal modo lui e non Dio, avrebbe giudicato chi sarebbe vissuto e chi no.
Ecco che l’oltraggio della vita e della morte, attuato da chi non solo profana la dignità, ma nega ogni diritto e la stessa esistenza al suo simile, delineava ieri ad Auschwitz e oggi ad Halle, il culmine di un disegno perverso: la cancellazione della vita presente e futura. In questa azione radicale si collocava e si ritrova tuttora uno dei tratti costituivi dell’antisemitismo.
Il secondo dettaglio che non dovrebbe essere sottovalutato è il luogo in cui è avvenuto l’attentato odierno. Ad Halle, città di antica tradizione accademica e tra i principali centri dell’Illuminismo tedesco, nacque nel marzo del 1904 Reinhard Heydrich, uno dei principali pianificatori ed esecutori della cosiddetta “soluzione finale del problema ebraico”. Heydrich, rapidamente giunto ai vertici del Terzo Reich, morì appena trentottenne per le ferite riportate in un attentato a Praga. Ciò non impedì che il suo progetto di sterminio venisse attuato secondo le precise disposizioni illustrate nel gennaio del 1942 alla conferenza di Wannsee, tanto che gli venne assegnato un nomignolo inquietante: il “giovane dio malvagio della morte”.
Alla luce della convinzione di Mengele e al soprannome attribuito ad Heydrich, emerge perciò un dato che con l’atto terroristico di oggi, come con gli episodi sempre più frequenti di antisemitismo in Europa, conferma una sua tragica, immutata attualità e ci interroga drammaticamente.
L’antisemitismo elevato dal nazionalsocialismo a dogma ideologico e politico fondante un mondo nuovo, sia per il suo bagaglio concettuale positivista, sia per la realizzazione pratica del suo progetto di morte, può essere giustamente definito una manipolazione antropologica dell’umanità attraverso l’esclusione di una sua parte.
Ma l’atto omicida di ogni uomo elevatosi a demiurgo divino dei propri simili o di quanti considera esclusi da quel mondo che lui ha progettato, non ha alcuna prospettiva realmente generativa. Questo perché nell’esecuzione dei suoi obiettivi, egli elabora e attua una serie di azioni di morte dirette a modellare l’uomo sulla base di princìpi assolutizzati, dove l’umanità viene dapprima spogliata della sua condizione creaturale, delle sue aspirazioni più alte e poi eliminata. Primo Levi, di cui quest’anno ricorre il centenario della nascita, ha così espresso nel suo più celebre libro tale condizione: “Parte del nostro esistere ha sede nelle anime di chi ci accosta: ecco perché è non-umana l’esperienza di chi ha vissuto giorni in cui l’uomo è stato una cosa agli occhi dell’uomo”.
L’attentato di Halle rinnova questo monito al cospetto dell’unica, condivisa nostra umanità.
9 ottobre 2019
Alberto Castaldini