A colloquio con la mistica che nel 1947, a 7 anni, ebbe la visione della Madonna. «Tanta gente è attratta da una spiritualità che rende egoisti. Se ti disincarni perdi la pienezza dell’amore».
«Ascoltavo i dolori del mondo, le sofferenze delle persone che mi chiedevano di intercedere presso Maria. Aspettavo sempre che qualcuno mi chiedesse d’intercedere per la sua felicità. Ma c’è voluto molto tempo e molto ascolto per comprendere che in realtà il dolore più grande per le persone, padre di tutti i dolori, era di non riuscire a dare senso alla propria esistenza. Quando ho compreso che la vita degli uomini ha come segno distintivo il desiderio d’amore e l’esigenza di senso ho potuto cominciare la mia comunicazione».
Sono parole con cui la mistica Angela Volpini spiega il difficile percorso che l’ha portata a comprendere come trasmettere al mondo l’immenso patrimonio spirituale della sua esperienza di veggente. Sono tratte dal libro Dio non è nascosto che Angela Volpini ha recentemente scritto con Paolo Rodari (San Paolo, pagine 154, euro 12,90). Un libro denso, in cui Volpini racconta la sua avventura al servizio delle rivelazioni avute dalla Vergine in ottanta apparizioni riferite in nove anni, a cominciare dal 4 giugno 1947: momento particolarmente delicato per l’Italia.
All’epoca Angela, nata il 3 giugno 1940, aveva appena compiuto sette anni. Con alcune amiche stava portando le mucche al pascolo sulla montagna che sovrasta il suo paese natale, Casanova Staffora, sull’Appennino pavese. Di quel giorno e di quello che è successo in seguito abbiamo parlato con lei e col marito Giovanni (hanno un figlio), un sociologo rurale che si è dedicato alla terra, all’allevamento e che da sempre affianca la moglie nella complessa missione spirituale che le è stata affidata.
Visitando con loro la piccola cappella costruita sul luogo delle apparizioni e la chiesa del Bocco voluta nel 1957 dall’allora vescovo di Tortona Luigi Egisto Melchiori, osservando Angela che sistema i fiori lì dove «Maria appoggiava i piedi» o che, seduta, guarda l’immagine della Madonna fatta dipingere dietro l’altare nel tentativo di rappresentare le sue visioni, si ha la sensazione di affacciarsi alla soglia di un’intimità spirituale che le parole, da sole, non riescono a dire.
Come nemmeno le chiacchierate al rustico tavolo da pranzo di “Nova Cana”, la casa che Angela e Giovanni hanno ristrutturato nel bel mezzo del paese e che è diventata un centro culturale e di accoglienza conosciuto nel mondo, in cui sono passate decine di migliaia di persone. Tavolo al quale si sono seduti personaggi come Baget Bozzo, ospite assiduo, Pasolini, i due vescovi martiri Óscar Arnulfo Romero e Julio González Ruiz, don Zeno di Nomadelfia, l’ex religioso, scrittore e filologo spagnolo Juan Arias e tanti altri. Tutti accolti come amici, tutti cercando risposte per la loro vita, per la loro fede o per il loro ruolo nel mondo al servizio del Regno di Dio.
«Quel giorno – racconta Angela – mentre stavamo intrecciando fiori, mi sono sentita abbracciare da dietro e sollevare. Era la presenza fisica di una donna e pensavo fosse mia zia. Quando mi sono girata ho visto un volto luminoso, sconosciuto, bellissimo».
I suoi compagni al pascolo?
«Hanno visto me sollevata in aria, priva di sensi. Dopo aver provato a tirarmi giù per i piedi sono corsi a casa dicendo che Angela era morta in aria…»
E la Madonna?
«In quella prima apparizione mi ha detto: “Sono venuta a insegnarvi la via della felicità sulla terra”. Poi ha aggiunto “Sta’ buona, prega, e io sarò la salvezza del tuo paese”. In seguito ha detto poco altro. Tutto il resto mi è stato rivelato in una sorta di comunicazione mistica. Guardavo il suo volto e mi sentivo arricchita in una dinamica comunicativa totale che non aveva bisogno di parole. Fin dalla prima volta mi è stato svelato tutto. Nelle altre apparizioni ho potuto riviverlo in una profonda relazione di comunione».
Cosa le ha comunicato?
«La Madonna mi si è presentata come umanità pienamente realizzata nella comunione con Dio. Il suo volto era il compimento delle nostre infinite possibilità, la gioia stessa di Dio. Tutto questo mi è stato mostrato come possibilità di compimento in me, come strada che tutti possiamo percorrere affidandoci e incarnando il desiderio d’amore che è in noi. La felicità sulla terra è la piena realizzazione di quell’amore al quale dobbiamo affidarci con quello stesso “sì” che è stato di Maria. Questa è stata la sua rivelazione. Ho capito che siamo unici e che dobbiamo farci dono della nostra unicità per arricchirci gli uni gli altri cosicché tutti siano tutto. Questa è la dinamica del dono. Le sopraffazioni, le angosce, le solitudini nascono da questa mancanza di dono reciproco, cioè dal mancato affidamento all’amore che è in noi».
Nel libro con Rodari lei sottolinea che i 72 anni trascorsi da quella prima apparizione sono passati nell’aiutare le persone, a Nova Cana e in giro per il mondo, a capire questa promessa di felicità. Oggi che persone vengono da lei?
«C’è chi viene per omaggiare Maria. C’è chi cerca le ragioni della propria esistenza. Una volta c’erano anche gli atei “massicci” che mi piacevano tanto. Adesso sono più eterei, non catalogabili. Spesso arrivano delusi da altre esperienze religiose, da altre religioni. Hanno esigenze spirituali non incarnate e questo è un grande problema di oggi. Separano la spiritualità dalla vita di tutti i giorni, dalla carnalità. Uno spiritualismo che distacca dalla vita reale, che rende egoisti, insensibili alle sofferenze. Se ti disincarni perdi la pienezza dell’amore e questo mi preoccupa davvero. Molti dicono che desiderano un mondo di amore. Ma da chi te lo aspetti questo mondo d’amore se non cominci tu ad amare nella realtà della tua vita, adesso? Tutti vogliamo essere conosciuti e amati. La difficoltà è che aspettiamo sempre che sia l’altro a cominciare… Poi ci sono i consumisti e basta, ma quelli non vengono qui».
Maria cosa dice a queste persone?
«Che devono realizzarsi nella pienezza della loro originalità. Se ci neghiamo questa possibilità restiamo degli infelici. Amare nella piena realizzazione della nostra unicità. Lei mi ha mostrato che Dio ci ha regalato la vita, ma la felicità deve essere una nostra conquista nel vivere la pienezza del dono d’amore. Maria mi ha fatto capire che ogni essere umano è intrinsecamente buono, ma è come spaesato e deve essere aiutato a comprendere quel che davvero desidera per trovare la strada della sua realizzazione che è l’amore, il Figlio che è in lui. Quando ero bambina sognavo tanto di avere delle scarpe, quando ho visto che Lei veniva sempre a piedi nudi mi sono accontentata anch’io dei miei piedi nudi. La Chiesa, tutti noi dovremmo essere più impegnati in questo, aiutando a capire l’essenziale, il desiderio di infinito che è in ognuno affinché possa essere vissuto da subito nella gioia».
Perché ha chiamato “Nova Cana” questa casa di accoglienza?
«Perché è a Cana che Maria diventa madre dell’umanità. Mette in gioco suo Figlio per gli sposi, cioè per noi; lo fa in una festa dell’amore umano e per una cosa non strettamente necessaria come il vino che era venuto a mancare. Con questo nome ho voluto chiedere a Maria di aiutarci come ha fatto con suo Figlio a conoscere la nostra strada».
Non sente nostalgia di quelle apparizioni?
«Sento sempre la comunione con Lei, porto avanti il suo messaggio per quello che posso. Cosa mi manca? La sua fisicità. Ma la ritrovo nelle persone che incontro, come speranza, come aspettativa della loro realizzazione. E se queste persone dubitano che sia davvero così, io dico loro: guardate che non è speranza vana, è concretezza di vita e io sono qui a testimoniarlo.
Roberto I. Zanini
6 ottobre 2019
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