Caro Tosatti, mi sto ponendo, ormai da alcuni anni, questa domanda: come abbiamo fatto a ridurci così?
Mi riferisco alla situazione che oggi vediamo diffusamente in questa chiesa 2.0 – come l’ho chiamata sul suo blog in un precedente intervento – per non parlare di quello che vediamo accadere nella società civile!
Su coloro che oggi sono silenziosi, quasi tramortiti e, in qualche modo, anche rassegnati all’impotenza, fino a divenire talora allineati, è difficile non vedere all’opera una sorta di anestetico, di oppiaceo somministrato dal demonio stesso, con la pazienza degli anni e, remotamente, addirittura dei secoli. Un anestetico che ha via via intontito i “formatori” e di conseguenza i “formandi”, nei seminari, nelle facoltà teologiche ecclesiastiche e nelle normali università private cattoliche. Studenti che sono divenuti prima sacerdoti gli uni, e professionisti laici gli altri. In questo modo il “pensiero debole” ha finito per “indebolire” e dissolvere ogni “fondamento”, che con una parola impegnativa possiamo definire “metafisico”. Ma ormai anche la “logica” è venuta meno: si dice tutto e subito dopo il contrario di tutto; tanto chi è più in grado di accorgersene? Le conseguenze sulla formazione dottrinale, teologica e filosofica del clero oggi sono spaventosamente evidenti.
Mi lascio andare a qualche considerazione, che per lei è sicuramente ovvia e scontata, ma che ai nostri giorni per non tutti forse lo è allo stesso modo.
– La radice “teologica” (meglio si direbbe “soprannaturale”) di tutto questo è certamente il progressivo indebolimento della fede, con il conseguente infiacchimento della conoscenza della dottrina cattolica e il decadimento della morale e dello stile di vita di sacerdoti e laici che ne conseguono. Quanti anche tra i chierici e i catechisti conoscono il catechismo – la dottrina come si diceva una volta – e sono in grado di insegnarlo ai bambini, ai ragazzi e agli adulti? E le omelie ne risentono… riducendosi a “spremute” di sentimenti più o meno buoni o a comizi politici farneticanti!
Ma insieme alla crisi di fede e della formazione teologica ci sono anche delle radici che possiamo chiamare “filosofiche”, a causa delle quali è la “ragione” – presupposto per una “fede autenticamente cattolica” – che ha smesso di funzionare umanamente e cristianamente.
– Le radici filosofiche “remote” (quelle antiche) di tutto questo le troviamo addirittura nelle antiche scuole del tardo medio evo, come la scuola di Oxford del (XIII-XIV secolo), madre del nominalismo, che ha incominciato a minare il realismo epistemologico e poi quello metafisico: possiamo conoscere qualcosa di vero, o tutto è opinione soggettiva? E addirittura… esiste la “realtà”? Ma, chi lo sa? Forse… Se ciò che conosciamo è solo un simbolo allusivo della realtà, e non “informazione”, “forma” delle cose reali e dell’intelletto, non sarà più possibile recuperare l’aggancio tra realtà e pensiero. Oggi questo simbolismo è inevitabilmente arrivato fino ad abbattere il modo di comprendere che cos’è un sacramento: che cos’è la “presenza reale” di Cristo nell’Eucaristia, ridotta ad un festino tra amici impegnati nel sociale? E allora è divenuto normale che le chiese diventino ristoranti, dormitori e sale per gli usi più diversi, continuando al contempo a celebrarvi la santa Messa.
Ma le radici remote erano già tutte lì nel XIII secolo, nella “condizione iniziale”, quando lo spostamento dal realismo di san Tommaso d’Aquino sembrava minimo, quasi una sottigliezza, che con il tempo si è ingigantita. Curioso che questo fenomeno dell’ingigantirsi nel tempo, dei piccoli “errori iniziali”, oggi, sia più noto ai fisici e ai matematici che ai filosofi e ai teologi! Ma non è qui il luogo per approfondire questo aspetto della fisica odierna perché ci porterebbe troppo lontano.
– Le radici filosofiche “prossime” di questa crisi della teologia contemporanea sono rinvenibili, a mio parere, nell’incapacità, da parte degli studiosi cattolici (sacerdoti e laici) tra la seconda metà del XIX secolo e la prima metà del secolo scorso di rispondere, argomentando adeguatamente, a tutti i filosofi che hanno data per spacciata la metafisica come scienza, da Kant in poi. C’è stato un timido tentativo di tamponare delle falle (con la neoscolastica), che è finito in un semplice ripetere, meccanicamente, quello che si ricordava ancora di san Tommaso, ma con argomenti sempre meno convinti e convincenti. Il fatto è che i filosofi cattolici, per quanto capaci, non sono riusciti nell’impresa di rimettere in piedi un sistema di pensiero che confutasse le basi antimetafisiche dei vari empirismi, idealismi, marxismi, fenomenologie, esistenzialismi e nichilismi a loro contemporanei.
Inevitabilmente, parallelamente alla ripetizione meccanica di un tomismo stanco, divenuto noioso e mal compreso, nei seminari è comparsa una teologia “narrativa” e non più metafisica, certamente più accattivante, perché nuova, e neppure totalmente disprezzabile in certi suoi aspetti. Il ruolo della “storia” prende ampio spazio, con l’esegesi biblica, la patristica, la descrizione dell’“esperienza del soggetto credente” (un tempo questa altro non era che la “spiritualità” e andrebbe recuperata in quest’ottica). Tutto bene, ma il vuoto lasciato dalla mancanza di un “fondamento” metafisico non può essere colmato da questi aspetti storico-esperienziali che, se mai, sono il “frutto” e non il “sostituto” dell’albero. Invece, condizionati da un modo di pensare ormai divenuto “dialettico” (alla Hegel prima e alla Marx poi) l’esperienza è stata “contrapposta” alla metafisica, la storia alla sistematica, fino ad arrivare a contrapporre la morale della situazione alla morale dei principi. E oggi la prima ha fatto fuori la seconda. Così la teologia cattolica si è ritrovata via via sempre più protestantizzata, essendo costruita su una fede senza ragione (fideismo). E le ideologie di moda hanno avuto le porte aperte: ambientalismo, animalismo, pauperismo, esaltazione dell’immigrazione illimitata… e in questi ultimi giorni il panteismo e il paganesimo hanno fatto ingresso anche in Vaticano, non limitandosi a fermarsi sulla facciata della basilica di san Pietro!
Per decenni si sono alimentati i seminaristi in questo clima, illudendoli di avere scoperto e imparato una nuova “viva” teologia, e oggi ci ritroviamo ecclesiastici e teologi, figli di questa dialettica della contrapposizione e della rottura con il passato, incapaci di concepire l’“analogia dell’ente” e la “metafisica della partecipazione” (chi sa più che cosa significano queste parole?). Non c’è da meravigliarsene…
C’è una certa inevitabilità in tutto questo che il Signore ha comunque permesso, forse per vedere, alla fine, che cosa resterà dei frutti senza l’albero; ma quest’ultimo potrà rispuntare dalle radici, mentre il resto senza radici si seccherà.
Si potrebbe pensare che sarebbe bastato che cinquanta anni fa si fosse vietato di insegnare nelle facoltà teologiche certe dottrine non cattoliche, divenute di moda come se fossero l’autentico pensiero del Concilio.
Simili divieti, pure opportuni, però non sarebbero stati sufficienti a fermare il fenomeno della secolarizzazione e della protestantizzazione, anche se lo avrebbero forse un po’ rallentato.
Il potere culturale del mondo era già troppo forte e penetrante, e aveva indebolito la fede e la ragione anche nei luoghi di formazione del clero. E così si è finito con l’abbracciare entusiasticamente quelle idee non cattoliche e perfino non cristiane che oggi hanno portato del tutto fuori strada.
Curiosamente, la metafisica, sotto la forma di “teoria dei fondamenti delle scienze” viene invece gradualmente riscoperta da alcuni scienziati (logici, matematici, fisici, biologi, cognitivisti).
Naturalmente questo tipo di scienziati veri, che pochi conoscono, non vengono ospitati in televisione; non sono quelli che si lasciano prendere dai deliri di onnipotenza che istigano a “fabbricare” l’uomo in laboratorio.
Perfino la matematica tradizionale oggi non basta più per far “ampliare” la scienza e si cerca, anche inconsapevolmente, quell’“ampliamento della razionalità” del quale parlava Benedetto XVI.
Chissà nel piano di Dio che cosa dovrà accadere? Una grande pulizia della storia per autodemolizione dell’errore e delle sue costruzioni? E un riemergere della verità come unica prospettiva “irrinunciabile” per non soccombere? Un provare a “vivere come se Dio esistesse” (come suggerì Benedetto XVI)? Un avvicinarsi rapido della fine dei tempi? Non lo sappiamo e dobbiamo essere vigilanti.
Beh!, intanto preghiamo e impariamo dai monaci che hanno garantito per secoli la continuità della fede e della cultura, custodendola e trasmettendola alle nuove generazioni, anche quando tutto il resto si stava sbriciolando.
don Alberto Strumia
11 Ottobre 2019
ALBERTO STRUMIA, LA CHIESA: COME ABBIAMO FATTO A RIDURCI COSÌ?