La vicenda del prete cattolico che ha negato la comunione all’ex vice di Obama e front runner dei democratici per il 2020 mette in luce molto più di quel che sembra.
La notizia, rilanciata a metà della settimana scorsa da tutti i giornali d’America, è che un sacerdote della chiesa di Sant’Antonio a Florence, South Carolina, ha negato la comunione all’ex vicepresidente degli Stati Uniti Joe Biden per via delle sue pubbliche prese di posizione a favore dell’aborto.
Ha spiegato padre Robert Morey, il prete in questione, in una nota recapitata ai giornali locali che lo tampinavano per avere conferme della notizia:
«Con rammarico, domenica scorsa ho dovuto negare la Comunione all’ex vicepresidente Joe Biden. L’Eucarestia significa che siamo in unità con Dio, con gli altri e con la Chiesa. Le nostre azioni dovrebbero riflettere questo. Una personalità pubblica che propugna l’aborto mette se stesso o se stessa al di fuori della dottrina della Chiesa. Come prete, è mia responsabilità accudire le anime affidate alla mia cura, e devo adempiervi anche nelle situazioni più difficili. Ricorderò Mr. Biden nelle mie preghiere».
Messa così, la vicenda si presta perfettamente ai commenti che ci si aspetterebbe, e che molti in effetti non hanno esitato a fare: i soliti integralisti cattolici e la loro ingerenza, i bigotti che invece di occuparsi della fede fanno politica, i tradizionalisti tutti dottrina e niente misericordia. Inevitabile che scoppiasse la polemica, tanto più che Biden è stato il vice di un presidente-icona per i liberal d’America come Barack Obama, e in vista delle elezioni 2020 è accreditato come uno dei potenziali sfidanti democratici più temibili per Donald Trump.
Lo stesso Biden, a richiesta di un commento sul caso, ha risposto durante un’intervista con Msnbc di non volerne parlare perché si tratta «della mia vita personale».
«Sono cattolico praticante e pratico la mia fede. Non ho mai voluto che le mie convinzioni religiose, che io accetto sulla base della dottrina della Chiesa… [non ho mai voluto] imporre quelle opinioni alle altre persone».
Come dire: sono gli integralisti cattolici di cui sopra quelli che pretendono che gli altri la pensino come loro.
Tutto come da copione. Peccato solo che le cose non siano proprio così banali come sembrano. Non c’è bisogno di scomodare il tale canone del diritto ecclesiastico o la talaltra istruzione del magistero cattolico. C’è un pregresso, però, che va ricordato, perché mette le cose in una luce un po’ diversa.
Joe Biden non è sempre stato un abortista sfegatato, tutt’altro. Pur avendo affiancato Obama in una delle amministrazioni più progressiste e politicamente corrette che si ricordino, l’ex senatore del Delaware è considerato da sempre un moderato. In particolare, riguardo all’aborto, Biden ha sempre sostenuto il cosiddetto emendamento Hyde, criptonite pura per i paladini del “diritto di scegliere”, una norma che in buona sostanza vieta l’utilizzo di fondi federali (leggi: soldi dei contribuenti americani) per finanziare le interruzioni volontarie di gravidanza, tranne che nei casi in cui la vita della madre sia in pericolo o la gravidanza sia frutto di stupro o di incesto.
La posizione di Biden rispetto all’aborto era arcinota e consolidata nel tempo, tanto da contribuire forse perfino in modo decisivo alla connotazione “centrista” del suo profilo politico. Ciò non gli ha impedito comunque di essere per otto anni l’osannato vice di un osannato presidente liberal. E non gli ha impedito nemmeno di segnalarsi come uno dei candidati di punta alla nomination dei democratici per le prossime presidenziali. Diversi osservatori lo considerano senza tentennamenti il front runner del partito.
Tuttavia c’era appunto quel neo sull’aborto che no, proprio non si poteva vedere. Così, a cavallo tra maggio e giugno, la coscienza del povero Biden è stata cinta d’assedio. Tutti i sinceri democratici d’America si sono messi a pressarlo per fargli cambiare idea. Lo racconta bene un istruttivo retroscena di The Atlantic (leggetelo tutto se avete tempo).
«I collaboratori di Joe Biden sapevano che il front runner per il 2020 sarebbe stato fatto a pezzi per via del suo sostegno all’emendamento Hyde. […] Erano frustrati perché l’ex vicepresidente non voleva cambiare posizione e all’inizio non stava a sentire le loro preoccupazioni. […] Symone Sanders, una tra i consiglieri più esperti di Biden, lo ha affrontato e gli ha detto che lui non capiva come la sua posizione colpisse pesantemente le donne povere e quelle di colore, prive di un agevole accesso all’aborto. Alyssa Milano, l’attrice divenuta ormai una delle principali presenze online sui temi legati ai diritti delle donne, vicina al team di Biden, mercoledì ha parlato al telefono con il manager della campagna di Biden, Greg Schultz, e gli ha detto che il candidato doveva cambiare. Altre telefonate sono arrivate, altre discussioni toste».
Questo senza contare gli attacchi coordinati, o comunque simultanei e incrociati, da parte degli altri aspiranti candidati democratici alle presidenziali. Poi i rimproveri di due lobby pro aborto potentissime in America come Planned Parenthood e Naral Pro Choice America, assai influenti soprattutto sul Partito democratico, che finanziano generosamente. Solito ritornello: «Non ci sono scuse politiche o ideologiche» che giustifichino il sostegno di Biden nei confronti dell’«iniquo emendamento Hyde», una norma che «si traduce in discriminazione nei confronti delle donne povere e delle donne di colore».
Tutto ciò succedeva un istante dopo che il tramortito Biden provasse a difendere balbettando un’ultima volta «l’iniquo emendamento Hyde» nel quale aveva creduto per decenni (è una legge del 1973).
Era il 5 giugno 2019. Poi, improvvisamente, il 6 giugno, intervenendo a un gala elettorale organizzato ad Atlanta dal Democratic National Committee, Biden ha detto di essersi accorto che «i tempi sono cambiati».
«Se io credo, come credo, che la salute sia un diritto, non posso più sostenere un emendamento che fa sì che un diritto dipenda dal codice postale».
La legge che Biden ha difeso anche pubblicamente per anni, come ricorda la Cnn, ora è un’ingiustizia ai suoi occhi. Perché l’aborto è un diritto. E perché «i tempi sono cambiati».
Ancora The Atlantic: «L’unica cosa che era cambiata è che [Biden] era sotto attacco da parte di quasi tutti i suoi rivali per il 2020, da parte di altri esponenti democratici di primo piano e da parte di gente del suo staff della campagna elettorale».
Ecco come si è arrivati alla comunione negata. Per carità, nulla di scandaloso, tutti possono cambiare idea, tanto più un uomo capacissimo di intendere e di volere come un ex vicepresidente degli Stati Uniti. Però alla luce di quanto sopra ci vuole un bel coraggio a usare il caso Biden come prova che i cattolici sono fissati con l’aborto e vogliono imporre le loro idee agli altri.
Paradossalmente, come osserva con una dose di cinismo il Los Angeles Times, non è neanche detto che Biden alla fine debba per forza passare come un cattivo cattolico, visto che probabilmente per tornare a ricevere la comunione gli basterà cambiare parrocchia, o magari anche solo cambiare prete. Invece, verrebbe da aggiungere, finché vorrà restare in prima fila nel Partito democratico non potrà pensarla come vuole sull’aborto.
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Ps. A proposito di imporre idee agli altri, vale la pena di sottolineare che il tema dell’emendamento Hyde non è affatto trascurabile in America. È anzi il tema su cui si combattono le battaglie più infuocate della guerra tra pro life e abortisti. È una disputa spessissima nella patria dell’aborto come diritto (vi immaginate cosa vorrebbe dire provare a introdurre una norma come quella in Italia, dove l’aborto legalmente non è nemmeno un diritto ma è passato dalla mutua?). Il punto è questo: è giusto che l’aborto sia finanziato con i soldi di tutti i cittadini, compresi quelli che considerano l’aborto un abominio? Non sarebbe un’imposizione questa?
Pietro Piccinini
5 novembre 2019
Il caso Biden (e poi sarebbero i cattolici quelli fissati con l’aborto?)