A trent’anni dalla sua fine, val la pena ragionare su cosa sia stato e cosa sia rimasto di questa ideologia divenuta “religione”.
Sotto le macerie del muro di Berlino, della cui caduta quest’anno ricorre il trentennale nella data del 9 novembre, proclamato peraltro “Giorno della libertà” per il tramite della legge italiana n. 61 del 2005, qualcosa è rimasto sepolto: le spoglie di quello spettro che poco meno d’un secolo e mezzo prima si aggirava per l’Europa come notavano compiaciuti Karl Marx ed Friedrich Engels nell’incipit del loro “manifesto” del 1848, cioè lo spettro del comunismo.
A trent’anni da quell’evento, almeno in Italia, cioè nel Paese in cui è esistito il più forte partito comunista ad ovest dello stesso muro di Berlino, i conti con il comunismo non sono stati ancora effettuati, in parte per il prolungato silenzio di una larga parte del mondo della cultura italiana che in modo diretto o indiretto ha aderito per più di sessant’anni alla dimensione ideologica e politica del Pci, e in parte perché la vecchia classe dirigente, le infrastrutture territoriali, le modalità operative di radicamento del vecchio Pci, invece di dissolversi, sono stati riconvertiti e rimodulati per una pianificata “gestione controllata” del post-comunismo che ha consentito di fondare l’attuale area del “progressismo liberale” che domina lo scenario politico della sinistra italiana.
Proprio per questo è opportuno chiedersi, realmente liberi e affrancati da ogni connivenza ideologica, cosa è stato davvero il comunismo.
Nato come progettualità economico-sociale per assicurare ai diseredati una scalata sociale che la civiltà industriale occidentale del XIX secolo sembrava negare in modo risoluto, si è presto evoluto in un vero e proprio messianismo secolare che promettendo la completa liberazione della schiavitù dell’uomo sull’uomo, dopo aver cancellato la religione e Dio in nome della propria “scientificità”, avrebbe garantito la realizzazione del “paradiso in terra”, secondo l’efficace formula di Joshua Muravchik.
Come hanno osservato, tra i tanti, sia Augusto Del Noce che Jacques Maritain, il comunismo che così duramente ha lottato contro la religione, cioè contro “l’oppio dei popoli” secondo la nota formula utilizzata dallo stesso Marx, si è con il tempo tramutato esso stesso in un fenomeno religioso che, come tale, ha avuto bisogno dei propri dogmi (l’ateismo, l’odio sociale, il nichilismo, l’antiumanesimo), di una propria “chiesa” per diffondersi, di una propria escatologia per convertire gli increduli e di una propria metodologia per realizzare la propria missione.
La “chiesa” è stata eretta da Lenin che decise si sostituire la Russia zarista con l’Unione Sovietica, cioè con il più grande e duraturo leviatano antiumano della storia, già efferatissimo ben prima dell’ascesa del nazismo, e longevo ben oltre la fine del suo omologo tedesco.
La pretesa omologatrice alla base delle speranze egualitariste del comunismo non soltanto ha tramutato un principio – quello di uguaglianza – di natura prettamente cristiano in qualcosa di anti-cristiano in quanto anti-umano, consentendo a Philippe Cheanux di definire a ragione il comunismo come “l’ultima eresia cristiana”, ma ha costituito, per di più, la base morale leggittimatrice delle più spietate atrocità da esso commesse, come, per esempio, accaduto in Russia con Lenin e Stalin, in Cambogia con Pol Pot, in Cina con Mao Tse-Tung, a Cuba con Fidel Castro, in Dalmazia e in Istria con Tito, per un totale di circa 90 milioni di morti secondo quanto accertato dagli storici come Stephan Curtois.
Come ha osservato Nikolaj Berdjaev proprio in tema di comunismo, occorre riconoscere che «là dove non c’è Dio, non c’è l’uomo».
La metodologia, del resto, è stata sempre quella della violenza ad ogni costo, già teorizzata dai “profeti” Marx ed Engels, e puntualmente messa in pratica dai “gran sacerdoti” della rivoluzione d’ottobre che, per esempio, tramite la dekulakizzazione intrapresero i primi stermini programmati dallo Stato sovietico.
Si aprirono quindi le porte del gulag, l’altare insanguinato su cui furono immolate in onore della causa comunista decine di milioni di innocenti vittime, che proprio per questo fecero comprendere la natura anti-umana della “religione comunista”, come, tra i tanti esempi possibili, ricorda Jacques Rossi: «Sono passati 70 anni da quando mi sono dato anima e corpo al movimento comunista, sinceramente persuaso che avrei così difeso la causa della giustizia sociale, alla quale credo tuttora. Ed è mio dovere mettere in guardia le persone oneste: fate attenzione! Non mettetevi su questa via che porta fatalmente a una catastrofe economica, sociale, politica, culturale, ecologica. Probabilmente senza i miei anni di Gulag avrei avuto difficoltà a capirlo».
Cosa è stato dunque il comunismo?
La risposta è senza dubbio molto più complessa di quella che può essere delineata in un così breve spazio, ma in via di estrema sintesi si può definire come le parole di Lev Sestov per il quale il comunismo è la distruzione «incapace di ogni altra cosa che non sia la distruzione».
Aldo Vitale
8 novembre 2019