Quesiti divini. Scorrendo i Vangeli, Ludwig Monti ha contato e isolato i 217 interrogativi formulati da Cristo, suggerendo ai lettori di lasciarsi interpellare personalmente da essi, come credenti o semplicemente come laici
Il segno grafico dell’interrogazione è già eloquente col suo ricciolo che sembra artigliare la mente del lettore: segno ben più complesso dell’esclamativo con la sua linea retta che si impone in modo imperativo.
Già lo stesso lessico mostra le varie iridescenze dell’atto di domandare: chiedere, ma anche interpellare, cercare, postulare, consultare e persino indagare e scrutare. Sui banchi del liceo di un tempo si imparava la distinzione latina tra il quaerere, un «domandare» per sapere, e il petere, un «chiedere» per ottenere. L’implacabile sequenza dei «perché?» del bambino rivela che il desiderio di sapere, capire, scoprire è strutturale alla natura umana, prima che sia sterilizzato dalla banalità delle risposte stereotipate o dai giochi elettronici.
In verità fare le vere domande è un esercizio tutt’altro che facile: Rousseau nella Nouvelle Eloise (1761) lo riteneva «un’arte più da maestri che da discepoli. Bisogna già aver imparato molte cose per saper domandare ciò che non si sa». E per stare ancora nell’orizzonte francese, si potrebbe continuare con Balzac quando nella Pelle di zigrino (1831) ribadiva che «la chiave di tutte le scienze è indiscutibilmente il punto di domanda. Dobbiamo la maggior parte delle scoperte al Come? E la saggezza nella vita consiste nel chiedersi, a qualunque proposito, Perché?». Questa divagazione su una delle componenti capitali del pensiero e del linguaggio ci conduce a un crocevia molto affollato di domande, quello delle S. Scritture.
Da un lato, infatti, esse custodiscono gli interrogativi «ultimi» sul mistero, sulla trascendenza, su divino. D’altro lato, ci invogliano anche verso le domande «penultime» sull’essere, sull’esistenza, sull’etica. La tragedia dell’assenza di fremiti che increspino la mente, la coscienza e la società, sigla tipica di un’epoca nebbiosa segnata dall’indifferenza, dalla superficialità e dalla vacuità come la nostra, era già icasticamente definita dal profeta Isaia: «Guardai, ma non c’era nessuno tra costoro, proprio nessuno capace di consigliare, nessuno da interrogare per avere una risposta» (41,28).
Ebbene, Cristo ha certamente offerto risposte lapidarie – una per tutte sulla tormentata contiguità tra fede e politica: «Rendete a Cesare ciò che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio» – ma curiosamente è stato anche un instancabile provocatore di domande. Un monaco di Bose, Ludwig Monti, che su queste pagine abbiamo già fatto salire alla ribalta per un suo splendido commento ai Salmi, le ha contate scorrendo i quattro Vangeli e ne ha isolate 217, ben più delle 141 che sono state rivolte al rabbì di Nazaret. La statistica, però, non rende ragione della forza dirompente di molti dei suoi interrogativi, lasciati serpeggiare nella folla dei suoi uditori e dei suoi stessi discepoli.
Monti ne ha selezionati 118 distribuendoli in 41 unità tematiche e suggerendo ai lettori di lasciarsi interpellare, come credenti o anche come persone senza opzioni religiose ma non indifferenti, da quel «ricciolo» graffiante del vero punto di domanda, nella consapevolezza – come suggeriva Oscar Wilde – che «a dar risposte sono capaci tutti, ma a porre le vere domande ci vuole un genio». A proposito di non credenti, curiosamente il libro è dedicato a una figura “laica” come Umberto Galimberti, che ha alle spalle anch’egli un saggio intitolato Il segreto della domanda (2008) e che, sia pure dialetticamente, si è confrontato coi temi teologici, come posso personalmente attestare, prima da compagno di studi liceali e, poi, da amico in dialogo. Egli osservava che «le domande vanno discusse in quella maniera anomala, che non è quella di rispondere alla domanda, ma di radicalizzarla, andando il più possibile a fondo dove si annida il radicamento… così da non assopirsi nei sogni beati di chi ritiene che la vita debba essere “senza pensieri”».
È questo lo stile dominante nelle interrogazioni di Gesù che Monti seleziona e commenta in modo coinvolgente. Solo per far balenare qualche lampo delle sfide che sono lanciate dal maestro di Galilea, ecco qualche passo evangelico: «La gente chi dice che io sia?… Ma voi, chi dite che io sia?… O generazione incredula! Fino a quando vi sopporterò?… Perché siete paurosi? Non avete ancora fede?… Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio di tuo fratello, e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?… Razza di vipere, come potete dire cose buone voi che siete cattivi?…Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra?… Il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».
Certo, abbiamo calcato la mano sulle frasi più forti: non si dimentichi che Ludwig Monti nel 2012 ha già pubblicato una raccolta delle Parole dure di Gesù. Le spiegazioni che accompagnano i testi raccolgono la dimensione interpellante delle parole di Cristo e diventano spunto di risposta personale, morale, esistenziale. Il rischio è quello di stemperare il sale delle domande, attenuarne nel linguaggio ecclesiale la potenza letteraria, anestetizzarne lo «scandalo» e l’essenzialità. Ne è consapevole lo stesso autore, che nella sua introduzione stimola il lettore a un incontro diretto che generi «nuove domande, in un infinito interrogare e interrogarci che può preservarci da ogni durezza, intolleranza, ignavia, stupidità».
Alcune delle domande di Cristo, però, contengono già risposte tenere. «Che cosa vuoi che io faccia per te?», chiede al cieco di Gerico. «Vedi questa donna?», dice al fariseo ipocrita riguardo alla prostituta in lacrime. «Quanti pani avete?», domanda prima di moltiplicarli per la folla affamata. «Perché siete turbati e perché sorgono tali pensieri nel vostro cuore?», interroga i suoi apostoli sconcertati incontrandoli da risorto. È vero, però, che le domande di Gesù prevalentemente sembrano scompigliare la vita degli interpellati, vogliono spettinare l’ordinata uniformità quotidiana, cercano di sommuovere il quieto vivere delle abitudini.
A questo punto sarebbe interessante raccogliere anche le domande umane rivolte a Cristo.
Allargando l’orizzonte biblico, non si dimentichi che, ad esempio, il libro di Giobbe è un’ininterrotta interrogazione lanciata verso un cielo apparentemente vuoto e muto. Durissimo era Heine nel suo Lazzaro: «Non cessiamo di interrogarci / ancora e ancora / finché una manciata di terra / ci chiuderà la bocca… / Ma questa è una risposta?». Ben diverso è l’esito della domanda di Giobbe che, a sorpresa, avrà come risposta da Dio una sequenza di ulteriori domande che, però, custodiscono in sé il germe del senso ultimo, capace di collocare in un «progetto» metarazionale l’insonne interrogarsi sul mistero del male. Non aveva torto Clive Staples Lewis, l’autore inglese delle Cronache di Narnia, quando annotava: «Spesso diciamo che Dio non risponde alle nostre domande; in realtà siamo noi che non ascoltiamo le sue risposte».
Gianfranco Ravasi
in “Il Sole 24 Ore” del 20 ottobre 2019