Sono ammalata da tanti anni, posso aiutare poco gli altri, ma offro al Signore tutte le mie sofferenze. Avranno un valore? Noemi.
Senz’altro Noemi; lei e gli ammalati che offrono quotidianamente a Dio le loro sofferenze, siete i parafulmini dell’umanità. Per questo dobbiamo esprimervi la nostra riconoscenza. Dio attraverso la vostra fede e la vostra donazione, perdona continuamente le infedeltà e i peccati di molti che, di per sé, non lo meriterebbero. Anche oggi, il Padre Celeste, per merito vostro, accoglie la stessa supplica rivolta da Abramo per allontanare gli interventi punitivi nei confronti delle città di Sodoma e di Gomorra, proverbiali sedi del peccato ed abitate da uomini iniqui (cfr Gen. 18,20-32; Mt. 11,29). Abramo, facendosi forte della presenza di alcuni giusti e della preghiera che in molti elevavano con costanza e con semplicità, intercedette per la salvezza di tutti. E anche oggi, il nostro Creatore, può affermare: «Non distruggerò la terra per amore dei giusti e dei sofferenti»; amnistiando così l’umanità.
Dunque, anche gli ammalati sono sollecitati ad assumersi la responsabilità dell’offerta, dell’annuncio e della testimonianza; infatti «la sofferenza è una vocazione» (Giovanni Paolo II, Salvifici doloris, 26). Di conseguenza, è opportuno, un rinnovamento di orientamento sia negli infermi, superando la deprimente impressione di infruttuosità, assumendo lo spirito missionario, avvertendosi soggetti operativi nell’ evangelizzazione, sia nei sani che reputano i sofferenti una presenza passiva, unicamente beneficiari di attenzione e di cura, scordando che prima di essere malati sono uomini e figli di Dio. E’ conveniente intervenire anche nelle parrocchie con lo scopo di far cogliere che gli infermi sono membri dinamici da introdurre, a pieno diritto, nella vita della comunità. Pertanto, ogni azione pastorale, dovrà essere programmata e ottemperata non unicamente per gli ammalati ma con i malati.
Il Concilio Vaticano II illustra che come conseguenza del battesimo il sofferente deve intraprendere il cammino di santità e realizzare la dimensione dell’apostolato (cfr Decreto sull’Apostolato dei Laici: Apostolicam Actuositatem, 1965, 3). Lo riaffermò anche san Giovanni Paolo II nell’Esortazione post-sinodale Christifidelis laici; il sofferente è un «soggetto attivo e responsabile nell’opera di evangelizzazione e di salvezza» (54). «A tutti e a ciascuno è rivolto l’appello del Signore: anche i malati sono mandati come operai nella sua vigna. Il peso che affatica le membra del corpo e scuote la serenità dell’anima, li chiama a vivere la loro vocazione umana e cristiana e a partecipare alla crescita del regno di Dio in modalità nuove, anche più preziose» (53). I malati, gli anziani, i portatori di handicap e i fragili, per il Papa devono trasformarsi da destinatari di cure pastorali a collaboratori attivi con Cristo all’opera della salvezza. Forte di questa convinzione, frutto di esperienze personali san Giovanni Paolo II affermò: «Voi che siete provati dalla sofferenza, siete pietre vive, sostegno della Chiesa. Per questo vi ripeto oggi l’esortazione che feci nella mia lettera pastorale Salvifici doloris: “Chiediamo a voi tutti che soffrite di sostenerci; proprio a voi che siete deboli, chiediamo che diventiate una sorgente di forza per la Chiesa e per l’umanità” » (3 sprile 1987).
Gli ammalati necessitano anche della formazione religiosa in quanto la malattia è un evento spirituale ed antropologico riguardante il senso della vita e i valori dell’esistenza. Per rispondere a questa esigenza, ad esempio, monsignor Luigi Novaresi fondò il «Centro Volontari della Sofferenza» con la finalità di realizzare nella Chiesa un apostolato che valorizzasse il sofferente, rispondendo al dramma del dolore umano che spesso conduce l’uomo ad allontanarsi dal Creatore e alla disperazione. Unicamente la malattia non subita, ma vissuta come partecipazione all’evento pasquale, diviene testimonianza e fattore di evangelizzazione.
don Gian Maria Comolli