Se mettete tutto in discussione e vedete solo divieti che vi limitano, forse state vivendo una fede superficiale. È ora di fare qualcosa!
Credo che il pericolo del credente sia la superficialità nella fede. Quando manca l’amore personale sorgono sempre i dubbi. Quando il mio amore nei confronti della persona amata si raffredda, smetto di confidare in lei e sospetto. Si insinua il dubbio. Non la ammiro più come prima.
Senza amore la fede vacilla. Do importanza alle cose sciocche, piccole, senza valore. Quando la mia fede nella Chiesa non è centrata sull’amore personale per Gesù è impossibile che la mia fede sia solida.
Lo sarà finché mi conformerò a spiegazioni infantili e non metterò in discussione nulla di quello che mi viene chiesto. Quando non darò importanza alla fede imparata a scuola, in famiglia. Finché decido di non approfondire non c’è problema. Vivrò una fede superficiale che ancora non si è confrontata con la vita.
Più tardi, però, crescendo, quando le domande smettono di essere infantili e hanno più peso perché hanno a che vedere con la vita reale, allora sospetterò, condannerò quella Chiesa esigente e antiquata.
La Chiesa diventa così una madre dura che non fa che proibire, limitare e imporre. Una madre che, in cambio del mio buon comportamento, non mi dà niente di concreto nella vita, solo la dolce promessa di un cielo eterno.
E vivo eludendo i peccati per rispettare la richiesta di una vita pura e senza macchia. Posso anche arrivare a pensare che legandomi a Dio sarò più sicuro. Vana illusione.
All’improvviso verifico che il male sotto forma di disgrazie, malattie, perdite o incidenti può arrivare a chiunque. Non importa se crede o meno in quel Dio provvidente.
Che vantaggi ha il fatto di credere in quel Dio che non fa che proibire e comandare senza alcuna gioia nella vita? Vivere in Dio non mi protegge, non mi salva dai problemi, non mi rende la vita più facile. Non compensa. Sorgono i dubbi giustificati.
Una madre che non fa che esigere non è una buona madre. È una madre che non mi aspetta a braccia aperte ogni giorno alla porta di casa, senza chiedermi dove sono stato e cosa ho fatto.
Non ricevo abbracci quando cado. Non mi offre la sua consolazione quando affondo nella tristezza. Non mi dà speranza quando sono scoraggiato. Non fa che comandare, limitare, mettere veti.
Non trovo pace in una Chiesa che non è madre ma matrigna. È come se non mi avesse generato. Forse nel nostro rapporto madre-figlio non c’è mai stato amore. E il mio cuore si è indurito. L’amore si è raffreddato.
Perdo di colpo la mia fede da bambino, e sorgono le domande più profonde e difficili. Prima, da bambino, l’amore dei miei genitori suppliva a tutto. Credevo perché loro credevano. E loro non potevano sbagliare.
Ora sono maturato e vedo tutto con una maggiore distanza. Non ammiro più i miei genitori, né la Chiesa in cui credono, né quel Dio che non mi protegge dal male e mi chiede solo di comportarmi bene.
E arriva la crisi, che può rimanere nascosta sotto una vita superficiale o può affiorare nei momenti in cui mi confronto con problemi, perdite e dolori.
E mi rendo conto di quanto sia poco profonda la mia anima. Non conosco quel Gesù di cui mi parla la Chiesa. Non l’ho mai visto, non mi ha mai messo in discussione.
Non l’ho guardato negli occhi, non mi sono innamorato della sua voce, delle sue parole, dei suoi gesti. Non mi ha parlato al cuore, o almeno non l’ho ascoltato.
Il problema attuale dell’uomo è la sua superficialità. Vive al margine della sua anima. Soggetto alla pelle. Preoccupato solo di problemi quotidiani. Di paure e gioie temporanee. Manca profondità.
E allora diffido della mia Chiesa matrigna che mi limita ed esige. Mi chiedo con aria da uomo maturo se la Chiesa non sarà antiquata nella fede che mi offre.
E quel Gesù che è ovunque, perché non lo sento nell’anima ora che ne ho più bisogno? Il cuore si indurisce.
Non ho avuto un incontro personale con Gesù, non l’ho amato mai. Non ho parlato con un “tu” personale. Non ho sentito la sua voce che pronuncia il mio nome.
Forse per questo mi manca radicalità di vita e non credo nella misericordia. Né nella giustizia. Né nella verità. Metto in discussione tutto e mi sembrano relative quelle convinzioni che un giorno mi sono sembrate tanto solide. Non è il dramma di molti cristiani oggi? Dice la Bibbia:
“O Dio, mio re, voglio esaltarti e benedire il tuo nome in eterno e per sempre. Ti voglio benedire ogni giorno, lodare il tuo nome in eterno e per sempre. Misericordioso e pietoso è il Signore, lento all’ira e grande nell’amore. Buono è il Signore verso tutti, la sua tenerezza si espande su tutte le creature… Fedele è il Signore in tutte le sue parole e buono in tutte le sue opere. Il Signore sostiene quelli che vacillano e rialza chiunque è caduto”.
Finché non conoscerò quell’amore misericordioso, finché non amerò quel Gesù che viene a salvarmi nella vita, a sostenermi quando cado stanco e triste, finché non sarò capace di aprire il mio cuore al Suo e chiedergli di non lasciarmi mai, la mia fede sarà debole e cadrà di fronte al minimo contrattempo.
Se affondo nella mia anima, se mi addentro in me, se mi lascio del tempo per navigare nella mia storia ringraziandolo perché viaggia con me sulla mia barca, se lo amo e lo lodo ogni giorno, allora sarò cristiano. Sarò credente. Amerò quel Dio che cammina con me.
Solo allora la mia fede sarà profonda. E non ci sarà più nulla che la faccia tremare. Perché l’esperienza concreta dell’amore di Dio sosterrà i miei passi.
Nov 07, 2019 /Aleteia