Chi può definirsi apertamente un discriminatore? In una società civile e in un’Italia come la nostra, nessuno. O meglio, possiamo tranquillamente affermare con certezza che coloro i quali discriminano – anche fisicamente – lo fanno a prescindere dall’oggetto della propria discriminazione. Entrando nel merito di quello che il dottor Guadagno ha raccontato la sera del 20 novembre passato, a una folta platea di liceali dopo la proiezione dello squallido film “Boys don’t cry” (un abominevole frullato di scene che raccontano di consumo di stupefacenti, alcool e violenza, vuoti di spirito e genitalità) sul fatto che è stato vittima di discriminazione da parte di chi odia i transgender, posso tranquillamente affermare a ragion veduta, che chi odia i transgender e si ritrova con “amici” per tendere agguato a costoro, odia. Odia e basta. Odia le proprie mogli o compagne tanto da tradire loro con prostitute (magari infettando mogli gravide che poi perdono i bambini che hanno in grembo), odia la famiglia, odia – in fondo – se stesso. Ed è violento. Perfido. Cattivo. E merita il massimo della pena quando compie atti abominevoli.
“Sostenere che non ti interessa il diritto alla privacy perché non hai nulla da nascondere non è diverso dal dire che non ti importa della libertà di parola perché non hai nulla da dire.” Edward Snowden Leggi
Stabilire i confini del dicibile in Rete è una delle sfide cruciali della nostra era. Disinformazione, propaganda, bugie, minacce, insulti, provocazioni, puro e semplice odio: devono avere diritto di cittadinanza sulla piattaforme digitali, nei servizi di instant messaging e tra i risultati dei motori di ricerca, oppure no? Come si tutela un ambiente di discussione democratico, nell’era in cui Mark Zuckerberg detiene i dati sulle vite di oltre due miliardi di persone nel pianeta e in cui uno dei più pericolosi hater in circolazione di mestiere fa il Presidente degli Stati Uniti? E, soprattutto, chi lo decide? Leggi