LE DONNE “EROICHE” CHE NON HANNO ABORTITO

By 7 Dicembre 2019Pillole di saggezza

L’amore per il figlio fino al sacrificio della vita dovrebbe essere la “più alta caratteristica della donna”. Abbiamo esempi di donne eroiche che in situazione di pericolo hanno rischiato la loro vita per salvare figli da incidenti, incendi o annegamenti. Tra i molti evidenziamo l’azione edificante di Nera Ricci di 38 anni, che riconoscendo nel figlio Mattia di due anni il suo tesoro, fece il possibile e l’impossibile per proteggerlo a seguito di una frana a Massa Carrara anche se non riuscì a salvarlo e neppure a tutelare se stessa.

Nell’Antico Testamento della Bibbia è narrato l’episodio del “giudizio di Salomone”[1]. Il re Salomone per appurare la madre di un neonato conteso da due donne, comandò di tagliare in due parti il piccolo. Il terzo Re d’Israele identificò la mamma in colei che rinunciò al bimbo pur di salvargli la vita.

Questa è storia anche dei nostri giorni, non quella dei rotocalchi, poiché anche oggi molte “mamme sconosciute” prediligono “il loro tesoro”, esempio non abortendo nonostante le gravi malattie che le minacciano. Alcune sono morte, altre si sono curate in seguito, ma prima hanno privilegiato la creatura che portavano nel cuore oltre che nel grembo.

A queste mamme vogliamo rendere omaggio ricordandone alcune, ben consci che sono molto numerose.

Santa Gianna Beretta Molla, medico pediatra milanese, madre di tre figli, nel 1961 al termine del secondo mese di gravidanza scoprì un fibroma all’utero. Non accettò l’asportazione per proteggere la vita che portava in grembo, pur totalmente  consapevole dei rischi. Il 21 aprile 1962 partorì Emanuela Gianna ma le sue condizioni di salute peggiorarono velocemente. Morì il 28 aprile 1962. A chi le consigliava l’aborto rispose con fermezza: “Abortire? Non lo permetterò mai; è peccato uccidere chi porti in grembo”.

Così la ricordò il cardinale C. M. Martini: “Donna meravigliosa amante della vita, sposa, madre, medico professionista esemplare offrì la sua vita per non violare il mistero della dignità della vita” (24 aprile 1994).

Fu proclamata santa il 16 maggio 2004 da papa Giovanni Paolo II alla presenza del marito e della figlia per cui offrì la vita.

Rita Fedrizzi, già madre di due bambini, docente di lingue al liceo e, in precedenza, all’università di Bergamo abbandonata per dedicarsi maggiormente alla famiglia, nei primi mesi del 2004 scoprì d’essere gravida ma anche malata di tumore. I medici la posero di fronte a un drammatico dilemma: “o abortisci e ti curi oppure sei destinata alla morte”. Rita, da cristiana matura, non interruppe la gravidanza poiché quel feto era già “suo figlio”. Lui nacque il 25 ottobre 2004, lei morì il 25 gennaio 2005.

Così la ricordò monsignor A. Maggiolini nell’omelia del funerale. “Quarantun anni, sportiva che si diverte soprattutto nello sci acquatico… sposa felice, madre di due bimbi. Nemmeno l’ombra di bigottismo. Una scioltezza che stupisce per la gioia che diffonde. Dopo aver scoperto di essere aggredita da un tumore che stava degenerando in metastasi scopre di attendere un terzo bimbo. Si trova così di fronte a una decisione vertiginosa. Sarebbe forse possibile intervenire con una terapia la quale potrebbe essere efficace ma che certamente influirebbe sul nascituro mettendone a repentaglio la vita o la salute. Rita preferisce la soluzione radicale. Con la più disarmata semplicità comunica che non si presterà a lasciare che sia intaccata l’esistenza o la salute del figlio che porta in grembo”.

Veronica Giazzon, 36 anni, residente a Trebaseleghe (Pd),  infermiera, amante del rugby, madre di una bambina, era ben consapevole del rischio quando, a metà della seconda gravidanza, le diagnosticarono una forma aggressiva di leucemia. Sollecitò i medici a far nascere anticipatamente la bambina che portava in grembo per avviare immediatamente le terapie.  Matilde nacque il 14 novembre 2013 e Veronica morì il 14 dicembre 2014. Il trapianto non riuscì e le complicanze vinsero quel fisico irrimediabilmente indebolito.

“Il tutto con una lucidità straordinaria, che l’ha assistita anche quando – come provano le sue parole su Facebook – sapeva di avere davanti l’ultima prova: ‘Non sempre la vita ci riserva solo belle sorprese. Da una settimana sono ritornata a Verona perchè ricaduta malattia. Ora di nuovo fuori gli artigli, bisogna lottare tutti insieme. Ci sarete vero? Ci conto. Vi voglio bene’. Ora, come poteva questa donna conciliare così l’amara consapevolezza di una vita che non ‘ci riserva solo belle sorprese’ con la voglia di tirare ‘di nuovo fuori gli artigli’? Rassegnarsi sarebbe stato normale, comprensibile, umano. Ma Veronica non era sola e, oltre che sulla vicinanza della famiglia, contava ed ha contato, fino all’ultimo, su quella più alta: quella della fede”[2].

Chiara Corbella Petrino, 28 anni, anche lei scelse di non curarsi per partorire il suo bambino. E questa non era la prima volta che Chiara e il marito dimostravano di amare la vita.

Nel 2009 rimase incinta ma dalle ecografie fu diagnosticato al feto una grave anencefalia. Chiara e Enrico accolsero la figlia e l’ accompagnarono nella sua vita terrena per solo per 30 minuti; poi, Maria Grazia Letizia, morì.

Una seconda gravidanza. Dalle ecografie i genitori appresero  feto era privo di gambe ed affetto da malformazioni viscerali incompatibilità con la vita. “Accompagnarono” anche il piccolo Davide Giovanni, così l’avevano chiamato, per il breve periodo che visse.

Infine una nuova gravidanza. Feto forte e sano ma al quinto mese a Chiara fu diagnosticato un carcinoma alla lingua. La gravidanza proseguì, anche se il rischio per la vita della mamma era notevole, però solo dopo il parto si sottopone all’ intervento chirurgico e a cicli di chemioterapia. Chiara non ce l’ha fatta. Morì il 14 giugno 2012 quando Francesco aveva compiuto da poco un anno.

“Alle mamme vorrei dire che conta il fatto di avere avuto il dono del figlio non il tempo che ci è riservato di stare con lui” (Chiara).

“Nel matrimonio il Signore ha voluto donarci dei figli speciali: ma ci ha chiesto di accompagnarli soltanto fino alla nascita, ci ha permesso di abbracciarli, battezzarli e consegnarli nelle mani del Padre in una serenità e in una gioia sconvolgente” (Chiara).

Trascorsi sei anni dalla morte di Chiara, la diocesi di Roma nel luglio 2018 ha avviato il processo di beatificazione.

don Gian Maria Comolli

 [1] Cfr.: 1 Libro dei Re 3,16-26.

[2] Dal Blog di Giuliano Guzzo. https://giulianoguzzo.com