Il rito liturgico ambrosiano celebra nell’ultima domenica di gennaio la “Festa della Famiglia”, mentre nel rito romano questa festa è posta nella domenica dopo il Natale. Celebrare la “Festa della Famiglia” ci offre l’occasione di riflettere su questa istituzione fondata sul vincolo del matrimonio tra un uomo e una donna, un’ “istituzione divina”, essendo Dio stesso l’ideatore di questa unione che ha come fondamento l’indissolubilità. Lo faremo con due esposizioni. Oggi vedremo perché la famiglia è in crisi, la prossima settimana offriremo dei suggerimenti affinchè la famiglia ritrovi la sua originale identità.
Oggi “è in atto la più grave aggressione della storia all’avvenimento cristiano, ai valori cristiani, al patrimonio esistenziale cristiano. Solo delle anime eccezionalmente candide o eccezionalmente sciocche possono negarlo o non riconoscerlo. E questa aggressione trova uno dei principali bersagli proprio nella famiglia” (G. Biffi 27.2.1994). Concordando con questa visione del cardinale G. Biffi di venticinque anni fa, identifichiamo alcune delle molteplici cause che determinano la crisi dell’istituto matrimoniale. I nefasti modelli culturali proposti dal contesto societario, l’ amore presentato prevalentemente come passionale, il martellante discredito dell’ impegno definitivo, il rifiuto del sacrificio che ogni unione comporta, spesso come conseguenza di un esasperato individualismo.
Non possiamo scordare, inoltre, che tra i molteplici compiti attribuiti alla famiglia, assume un’importanza primaria quello educativo. E’ una delle sfide prioritarie per i nuclei famigliari nei quali, a volte, è scomparsa l’attitudine educativa dei genitori, soprattutto dei più giovani, dove appaiono assenti il coraggio dell’autorevolezza nei confronti dei principi civili, sociali e religiosi; l’attitudine a trasmettere “l’identità valoriale” e la “memoria storica” della nostra cultura e delle nostre tradizioni; l’equilibrio tra “libertà” e “disciplina” affermando, con i modi più idonei, dei “sì” e dei “no” decisi e risoluti, scordando la rilevanza delle regole nella formazione del carattere e nella preparazione ad affrontare le sfide e le situazioni di disagio che la vita riserverà. Carenze che fanno crescere “frotte di ragazzi insicuri, incapaci di gestirsi e totalmente ego-riferiti”( M. Ungar, Troppo protetti per il loro bene, McClelland &Stewart 2009, p. 24)
Si ha l’impressione, inoltre, che i genitori, in alcune situazioni, siano percepiti maggiormente come “amici” che come “educatori”, essendo arduo mostrarsi autorevoli quando sono carenti la presenza, il coinvolgimento personale e la credibilità. Nessun ragazzo, adolescente o giovane, accetterà norme prive di un volto e di una storia. Scriveva la scrittrice americana e consulente familiare D. Law Nolte nel libro “I bambini imparano ciò che vedono”. “Se un bambino vive con la critica impara a condannare, se un bambino vive con I’ostilità impara ad essere violento, se un bambino vive con la gelosia impara ad invidiare. Se un bambino vive con la tolleranza impara ad essere paziente, se un bambino vive con la giustizia impara ad essere onesto, se un bambino vive con la serenità impara ad aver fede, se un bambino vive con I’accettazione e I’amicizia impara a scoprire I’amore presente nel mondo” (Paoline 1989, p.47).
Inoltre, in varie famiglie, si reputa irrinunciabile “l’avere” dimenticando “l’essere”. Di conseguenza, si propongono come ideali prioritari, la ricerca della propria felicità svincolata da ogni obbligo. Non possiamo scordare che i genitori attuali, figli della modernità, sono cresciuti nella “società del benessere”, quando nelle famiglie si educava prevalentemente al permissivismo, e si diffondeva pericolosamente l’ideologia del “figlio felice” da proteggere dalle difficoltà e dalle rinunce. Tutto era concesso e tollerato mentre i sacrifici restavano unicamente a carico dei genitori. “Mi rendo conto – afferma lo psicologo M. Ungar – che i miei due ragazzi (una figlia di 13 anni e un ragazzo di 16) sono cresciuti senza mai incontrare una vera difficoltà. E quando vado ‘sul campo’ vedo che chi ha dovuto affrontare percorsi più impervi ha sviluppato una serie di abilità che ai miei ragazzi mancano” (p.32). Gli fece eco Benedetto XVI affermando: “Anche la sofferenza fa parte della verità della nostra vita. Perciò, cercando di tenere al riparo i più giovani da ogni difficoltà ed esperienza del dolore, rischiamo di far crescere, nonostante le nostre buone intenzioni, persone fragili e poco generose: la capacità di amare corrisponde infatti alla capacità di soffrire, e di soffrire insieme”(21 gennaio 2008). In questa situazione, per i coniugi, è complesso affrontare le inevitabili difficoltà che la vita di coppia riserva come pure il discorso educativo. Di conseguenza, ci troviamo di fronte a una marea di adolescenti e di giovani fragili, instabili e insicuri, che vivono un pericoloso “malessere esistenziale” provocato da un preoccupante vuoto interiore. Di conseguenza, si sfida la vita con atteggiamenti rischiosi, fino a giungere al suicidio. Le statistiche mostrano, appunto, che il suicidio tra gli adolescenti è la seconda causa di morte e quella tra i giovani della fascia 25-34 anni è, addirittura, la prima.
Favorire “l’essere” vuol dire assumere come regole e consuetudini stili quotidiani caratterizzati dal rispetto dell’altro, dalla reciprocità, dall’ossequio alla giustizia, dalla difesa dei diritti di autonomia e di libertà. Alla base della cultura dell’ “essere” stanno I’amore, la solidarietà, la generosità e la benevolenza interpretati non come tecniche da apprendere ma come condotte da assumere innanzitutto nella famiglia, accudendo con predilezione e tenerezza i figli, reputandosi responsabili non unicamente della loro felicità ma anche di quella altrui.
I ragazzi e gli adolescenti, anche oggi, sognando di diventare adulti “completi” e “maturi”, implorano educatori motivati e competenti; genitori educatori, insegnanti educatori, sacerdoti educatori che sappiano costituire una rete di “complicità educativa” nella formazione alla “vita buona” e alla “bontà della vita”.
Don Gian Maria Comolli