I SACRAMENTI NEL TEMPO DELLA MALATTIA – L’Unzione degli Infermi

By 31 Gennaio 2020Pillole di saggezza

Oltre l’Eucarestia (e il Viatico) “fonte e culmine della vita cristiana” (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1324), due sacramenti si presentano “di guarigione”: “la Riconciliazione” perdonando al malato i peccati e rendendolo disponibile ad unire le sue sofferenze alla passione redentrice di Cristo (cfr.: Evangelizzazione e Sacramento della Penitenza e dell’Unzione degli Infermi, n. 107) e “l’Unzione  degli  Infermi”.  “Tali  sacramenti  che  operano  l’incontro  con  Cristo, medico del corpo e dello spirito (SC 5) rientrano in maniera qualificante nello sviluppo della vita cristiana: sono infatti destinati a guarire ‘le infermità’ del cristiano, ponendolo in uno stato di liberazione dal male e di conversione progressiva a Cristo nella vita nuova dello Spirito” (Evangelizzazione e Sacramento della Penitenza e dell’Unzione degli Infermi, n. 5). Ciò è ripreso anche dal “Catechismo della Chiesa Cattolica”: “Il Signore Gesù Cristo, medico delle nostre anime e dei nostri corpi, colui che ha rimesso i peccati al paralitico e gli ha reso la salute del corpo, ha voluto che la sua Chiesa continui, nella forza dello Spirito Santo, la sua opera di guarigione e di salvezza, anche presso le proprie membra. E’ lo scopo dei due sacramenti di guarigione: del sacramento della penitenza e dell’unzione degli infermi” (n. 1421).

Unzione degli Infermi

“Questa Unzione sacra dei malati è stata istituita come vero e proprio sacramento del Nuovo Testamento dal Signore nostro Gesù Cristo. Accennato da Marco (cfr. Mc 6,13) è stato raccomandato ai fedeli e promulgato da Giacomo, apostolo e fratello del Signore” (Concilio di Trento, Sess. 14a, Doctrina de sacramento extremae Unctionis, c. 1.). Dunque, “L’unzione degli infermi è la ‘forma propria e più tipica dell’attenzione del Cristo totale (di Cristo e della Chiesa)’ verso la ardua esperienza umana della sofferenza. Dalla riscoperta di questo sacramento – attraverso un’opportuna catechesi e significative celebrazioni individuali e comunitarie, atte a creare una nuova mentalità – conseguiranno grandi vantaggi spirituali, consolazione e conforto per coloro il cui stato di salute è gravemente compromesso dalla malattia o dalla vecchiaia (cfr.: CEI, Evangelizzazione e sacramenti della penitenza e dell’unzione degli infermi 137-140)” (La pastorale della salute nella Chiesa Italiana, n. 21).

Come già accennato alcuni miracoli di Gesù avvengono a seguito della richiesta di parenti ed amici: “Gli parlarono della suocera di Pietro” (Mc. 1,30); “Lo pregarono di imporre le mani al sordomuto” (Mc. 7,32); “Lo pregarono di toccare il cieco” (Mc. 8,22); “Maestro, ti prego di volgere lo sguardo a mio figlio” (Mc. 9,13). Questi episodi mostrano l’intenso rilievo e l’efficacia della preghiera comunitaria, riassunta da san Giacomo: “Chi tra voi è nel dolore, preghi; chi è nella gioia salmeggi. Chi è malato, chiami a sé i presbiteri della Chiesa e preghino su di lui, dopo averlo unto con l’olio, nel nome del Signore. E la preghiera fatta con fede salverà il malato; il Signore lo rialzerà e se ha commesso dei peccati, gli saranno perdonati. Confessate perciò i vostri peccati gli uni agli altri e pregate gli uni per gli altri per essere guariti. Molto vale la preghiera del giusto fatta con insistenza” (Gc. 5,13-16).

“L’Unzione degli Infermi”, che nei primi secoli della storia della Chiesa, accompagnò la maggioranza dei malati, e fu definita dal Concilio di Trento un “sacramento istituito da Cristo nostro Signore e promulgato dal beato Giacomo apostolo”, a causa di eventi storici e sociali, per un periodo prolungato, fu configurato il sacramento dei “malati moribondi” o “da pronto soccorso”, assumendo l’erronea definizione di “estrema unzione”. La Costituzione  “Sacrosantum  Concilium”  (cfr.: nn. 73-75) e il rito approvato da san Paolo VI con la Costituzione apostolica: “Sacram Unctionem Infirmorum” restituirono all’unzione il significato originario: “L’estrema unzione, che può essere chiamata anche, e meglio, unzione degli infermi, non è il sacramento di coloro soltanto che sono in fin di vita” (Sacrosantum Concilium, n. 73). Altri testi che diedero nuovo vigore al sacramento furono: “Evangelizzazione e sacramenti della Riconciliazione e dell’Unzione degli Infermi” e il “Codice di Diritto Canonico” (cfr.: canoni 998-1007). Anche la sostituzione del termine da “estrema unzione” a “unzione degli infermi” mostrarono una nuova “forma mentis”. Fu determinato anche chi avrebbe potuto riceverlo: “ll tempo opportuno per riceverlo si ha certamente quando il fedele, per malattia o per vecchiaia, comincia a essere in pericolo di morte” (Sacrosantum Concilium, n. 73). Concetto ripreso dal beato papa Paolo VI: “quei fedeli il cui stato di salute risulta seriamente compromesso per malattia o per vecchiaia” (Sacram Unctionem infirmorum, n. 8).

Dunque, come chiarifica il rituale, l’Unzione degli Infermi può essere somministrata:

-Prima di un intervento chirurgico rischioso che potrebbe comportare un pericolo di morte.

-Agli anziani con indebolimento accentuato delle loro forze. Perché gli anziani? “Mentre in passato giungeva alla vecchiaia solo chi era dotato di una robustezza eccezionale di salute, e perciò godeva di una senilità sana, oggi i progressi straordinari della medicina fanno sì che vi giungano molti che in altri tempi sarebbero stati inesorabilmente spazzati via dalla morte. Lo sviluppo della terapeutica ha inventato un nuovo tipo di vecchiaia che ha i tratti di una infermità cronica, e può dirsi a buon diritto situazione di crisi quanto qualunque malattia vera e propria” (G. Gozzolino, L’Unzione degli infermi, sacramento della vittoria sulla malattia, Marietti 1989, pg. 160)..

-Agli ammalati gravi o affetti da patologie croniche anche se non corrono un imminente pericolo di morte.

-Ai bambini, purché abbiano raggiunto l’uso della ragione. E’ l’indicazione del canone 1004 del “Codice di Diritto Canonico” anche se possiamo evidenziare due visioni opposte. La “prima” ritiene che il Sacramento dovrebbe essere amministrato come il battesimo “in fide Ecclesiae” anche ai piccoli che non hanno raggiunto l’uso della ragione. La “seconda” si interroga come il sacramento chi è privo dell’uso della ragione può raggiungere il suo effetto fondamentale (L’Unzione degli infermi, sacramento della vittoria sulla malattia,  pg. 161).

-A chi giace in stato d’incoscienza e si ritiene che come credente, nel possesso delle facoltà mentali, lo avrebbe richiesto (cfr.: Codice di Diritto Canonico, canone 1006). Quindi è importante valutare l’adesione che ebbe la persona ai principi della fede, riconosciuti ed evidenziati da parenti o da amici. In questo caso è valido il criterio della “volontà non espressa ma tuttavia presumibile”.

Il sacramento può anche essere ripetuto (cfr.: Codice di Diritto Canonico, canone 1994 & 2). La motivazione la illustra A. Donghi, “La malattia grave, soprattutto se di lunga durata, comporta fasi critiche sia a livello biologico che psicologico e spirituale. Dal momento che il sacramento è per l’uomo, avviene che ad una nuova situazione di crisi dovuta alla malattia si possa celebrare ancora il sacramento. In questo processo si deve comunque evitare il rischio di farlo apparire, a causa dell’eccessiva facilità nella celebrazione, un atto magico di conforto o una convenzione sociale (…). Il problema inerente la reiterazione impegna la responsabilità dei due interlocutori, il sacerdote e il malato, per cogliere il significato di ogni successiva celebrazione” (L’olio della speranza. L’unzione degli infermi, Paoline, pg. 94). Da quanto affermato, risulta che i destinatari dell’Unzione sono i malati, gli anziani e “non i moribondi”, anche se non è escluso dal sacramento chi “non può chiamare i presbiteri”. Quando l’infermo è già morto va impartita una benedizione, ma nel dubbio, l’Unzione può essere amministrata “sotto condizione”.

I Documenti citati illustrarono, inoltre, gli effetti: “Questo sacramento conferisce al malato la grazia dello Spirito Santo; tutto l’uomo ne riceve aiuto per la sua salvezza, si sente rinfrancato dalla fiducia in Dio e ottiene forze nuove contro le tentazioni del maligno e l’ansietà della morte; egli può così non solo sopportare validamente il male, ma combatterlo, e conseguire la salute, qualora ne derivasse un vantaggio per la sua salvezza spirituale; il sacramento, dona inoltre, se necessario, il perdono dei peccati e porta a termine il cammino penitenziale del cristiano” (Evangelizzazione e sacramento della penitenza e unzione degli infermi, n 6). L’unzione, non è un atto magico come aveva precisato nel IV° secolo san Cesario di Arles (Cfr.: Sermone 13), ma giova al ricevente donandogli due tipologie di benefici: la “salute fisica” (qualora ne derivasse un vantaggio per la sua salvezza spirituale) e la “salvezza spirituale”. Oltre a ciò, lo consola, lo sorregge e lo solleva di fronte al dolore fisico e alla sofferenza morale che l’opprime, causandogli ansia e angoscia. Per queste ragioni, scaturisce un fraterno invito, quando le circostanze lo permettono, a celebrarlo anche comunitariamente con la presenza dei famigliari e degli operatori sanitari. Tutti insieme s’invocherà il Signore Gesù: “Guarda benigno questo tuo fratello che attende da Te la salute del corpo e dello spirito: nel Tuo nome noi gli abbiamo dato la santa Unzione, Tu donagli vigore e conforto, perché ritrovi le sue energie e vinca ogni male” (dalla Liturgia).

E’ interessante, infine, esaminare il simbolismo dell’unzione: “l’olio santo”. L’ olio, nella cultura antica e nella Bibbia, era utilizzato nelle consacrazioni regali e sacerdotali come distintivo dell’elezione divina (cfr.: 1 Sam. 10,1-6), per i riti di purificazione dei lebbrosi (cfr.: Lv. 14,14-18), per curare le piaghe (cfr.: Is. 1,6) e nell’antico Oriente era ritenuto un tonificante dell’organismo.

Dobbiamo “convincerci” e “convincere” che l’Unzione degli Infermi è un atto spirituale considerevole per il malato grave. Di conseguenza, nessuno, con varie scusanti o per timore, dovrà opporsi alla sua celebrazione. E’ compito nostro educare affinchè sia l’ammalato stesso a richiederlo, come pure non possiamo privare alcuno di questo dono. Anche questo atto, che il più delle volte il sofferente accoglie benevolmente, è una concreta manifestazione di amore. Ammoniva papa Pio XI che non amministrare l’Unzione degli Infermi “è un errore mortale che priva molti malati di aiuti tanto necessari e di beni spirituali assai preziosi, impedisce la guarigione di parecchi e può essere causa di morte e di perdizione eterna” (Rite expiatis, n. 21).

Don Gian Maria Comolli