Per il porporato, arcivescovo emerito di Milano, la sospensione della Sante Messe per l’emergenza, in alcune regioni italiane, è opportunità per riscoprire la fame dell’Eucarestia.
L’emergenza coronavirus ha in Italia ricadute pastorali ben note, soprattutto nelle regioni più colpite dal virus dove, recependo le indicazioni del governo, i vescovi hanno sospeso la celebrazione della Santa Messa pur lasciando aperte le chiese. Accade, fino a nuova comunicazione, anche per oggi, domenica 8 marzo, e per i giorni feriali successivi, in Lombardia, Veneto e Emilia Romagna. Sui risvolti spirituali di questo tempo di prova e sull’atteggiamento opportuno per affrontare le limitazioni pastorali, ha parlato, ai microfoni di Radio Vaticana Italia, il cardinale Angelo Scola, arcivescovo emerito di Milano:
Intervista al cardinale Angelo Scola
R.- Il tempo del coronavirus lo dobbiamo tutti affrontare con un doppio atteggiamento. Il primo, il più naturale, è quello di restare uniti: perché la compassione verso chi è colpito dal male, soprattutto quando questo prende delle dimensioni quantitative come quelle odierne, è un sentimento profondo, immediato e naturale dell’uomo. E in questo contesto dobbiamo sentirci obbligati a seguire le indicazioni che le diverse autorità costituite ci stanno dando e attenerci ad esse, anche quando ci chiedono un certo sacrificio. Ma c’è un secondo livello di reazione all’epidemia che è più importante. Questa situazione di emergenza deve interrogarci sul senso del nostro vivere e sui motivi per cui, anche al giorno d’oggi, nel tempo di una tecno-scienza ‘roboante’, ci troviamo improvvisamente di fronte a situazioni di prova e pericolo di questo genere. In questo frangente particolare, sia a livello personale, come a livello comunitario, diventa decisivo chiedersi “per chi vivo” e come mi muovo lungo la strada del mio pellegrinaggio terreno. Non ci si può limitare a cercare il modo per scansare il virus, che è certamente una cosa importante, ma bisogna andare oltre. Queste sono occasioni che ci interpellano sul senso della vita.
La sospensione della Messa, in alcune regioni italiane, per bloccare il contagio, può essere paradossalmente un’occasione per riscoprire il senso della Celebrazione Eucaristica?
R. Come ho già avuto occasione di dire, nel nostro rito Ambrosiano, qui nell’arcidiocesi milanese, il venerdì di Quaresima non celebriamo la Santa Messa ma il cosiddetto ‘digiuno eucaristico’. Lo scopo è proprio quello di far sentire in profondità la mancanza del Cristo vivo in mezzo a noi, come fattore che costruisce in definitiva il volto di ciascuno e che rende indispensabile la Chiesa, la comunità cristiana, al di là dei difetti degli uomini che la compongono. Anche oggi io penso che noi dovremmo avere più fame della Parola di Dio e più fame dell’Eucaristia. In questo senso, la scelta fatta di sospendere le Messe in alcune regioni, una scelta obbligata presa in collaborazione con le autorità civili, a me sembra possa avere anche una grande utilità spirituale. Se viene ovviamente però contenuta nel necessario. So che i vescovi lombardi avevano chiesto di poter riprendere a celebrare almeno nei giorni feriali, nei quali il numero ridotto di presenze permette di dislocare i fedeli a distanza giusta e quindi a evitare il contagio, ma la situazione è così grave che questo non è possibile.
Alcuni considerano questo virus un castigo divino. Secondo lei questa interpretazione è corretta?
R.- Dio vuole il bene. A tal punto vuole il bene che si è fatto carico del nostro male, del nostro peccato e lo ha inchiodato alla croce. Non lo usa come elemento di vendetta, come una minaccia. L’idea di punizione divina, soprattutto attraverso una situazione drammatica come quella che stiamo vivendo, non fa parte della visione cristiana. Poi è chiaro che questo è un tema complesso, però mi sembra che una visione cristiana adeguata non implichi che Dio faccia ricorso alla pratica della punizione per convertirci.
Fabio Colagrande – Città del Vaticano
09 marzo 2020
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