Il 13 marzo di sette anni fa l’elezione di Papa Francesco. ·
L’emergenza del coronavirus è uno spartiacque. Speriamo che il cambiamento che ci attende non abbia il carattere cinico a cui ci siamo abituati.
L’inizio dell’ottavo anno di pontificato di Papa Francesco cade in un momento drammatico per l’umanità intera, chiamata ad affrontare la pandemia del Covid 19. Il richiamo, forte e per tutti, a tenere lo sguardo fisso su ciò che è essenziale impone che anche questo anniversario sia celebrato in modo diverso da come lo è stato negli anni precedenti. In questi giorni difficili, mentre ciascuno di noi è messo drammaticamente di fronte alla precarietà dell’esistenza, Papa Francesco ha scelto di accompagnarci con la preghiera, con l’affidamento a Maria e con la celebrazione quotidiana dell’Eucaristia nella messa a Casa Santa Marta, eccezionalmente trasmessa in diretta ogni mattina e diffusa in tutto il mondo grazie allo streaming.
Aumentare il numero delle Sante Messe domenicali. È la misura, in controtendenza rispetto all’Italia, che la Conferenza episcopale polacca (Kep) ha raccomandato ai suoi sacerdoti in riferimento alla diffusione del coronavirus, per venire incontro alle richieste di prudenza senza con ciò impedire ai fedeli di partecipare alla celebrazione dei divini misteri. «Nella situazione attuale, vorrei ricordare che proprio come gli ospedali curano le malattie del corpo, così le chiese servono, tra le altre cose, a curare le malattie dell’anima, quindi è inimmaginabile per noi non pregare nelle nostre chiese», esordisce il comunicato a firma del presidente della Kep, monsignor Stanisław Gądecki, arcivescovo di Poznań.
All’inizio della messa di Santa Marta di martedì mattina Papa Francesco ha detto: “Preghiamo il Signore anche per i nostri sacerdoti, perché abbiano il coraggio di uscire e andare dagli ammalati, portando la forza della Parola di Dio e l’Eucaristia e accompagnare gli operatori sanitari, i volontari, in questo lavoro che stanno facendo”. Era inevitabile che una preghiera di questo tenore facesse alzare qualche sopracciglio, e non solo per le ovvie questioni di opportunità.
Non è l’arrotino che gira di casa in casa con gli arnesi per affilare lame e coltelli. Ma il sistema è lo stesso: al posto dei coltelli c’è la fede e lo sguardo di Dio sulla gravissima preoccupazione chiamata Coronavirus. Coi parrocchiani rintanati in casa e le chiese
praticamente off limits, raggiungere i fedeli per i parroci è compito proibitivo. Ci sono i social, d’accordo, ma che cosa fare con tutti quei fedeli che per un motivo o per l’altro – anzianità, poca dimestichezza o semplicemente lontananza dalla cultura social -, non seguono messe su Facebook e Rosari su Hangout? Ci pensa il prete a portare – rigorosamente a distanza – il conforto.
La coraggiosa intervista a un magazine cinese (subito censurata) della direttrice del pronto soccorso dell’ospedale Centrale di Wuhan: «Se non avessi obbedito al Partito ora i miei colleghi sarebbero vivi».
ll cardinale: «Da questa crisi potrà sorgere un’umanità più umana.
Il 4 novembre scorso si è tenuta la 34esima sessione del Gruppo di Lavoro della Revisione Periodica Universale (Universal Periodic Review – UPR) che ha esaminato lo stato dei diritti umani in Italia, in seguito alla quale la nostra nazione ha ricevuto ben 306 raccomandazioni (nel 2014 erano state solo 186)