INTERVISTA – Quanto è importante la condivisione

By 16 Marzo 2020Coronavirus

«A me sembra che in questo momento ci sia un grandissimo bisogno di vicinanza. Ma questa vicinanza non basta». Lo afferma monsignor Francesco Beschi, vescovo di Bergamo, uno dei centri più colpiti dal covid-19. Nei giorni scorsi, quando ancora non si aveva la percezione della gravità del virus, prosegue, si continuava a «vivere pensando un po’ più a se stessi».

Adesso ci sentiamo più vicini?

Chi è malato attende innanzitutto la vicinanza di chi lo può curare e sto vedendo una generosità enorme da parte di medici, infermieri, di coloro che stanno lavorando nei nostri ospedali, nell’ospedale più grande che è intitolato peraltro a Papa Giovanni XXIII. Adesso siamo un po’ lontani gli uni dagli altri, perché ciascuno deve stare il più possibile in casa, ma ci sentiamo molto più vicini e uno dei segni di questa vicinanza è rappresentato dalle nostre parrocchie. La diocesi ne conta circa quattrocento e sto vedendo manifestazioni le più disparate, fantasiose, nuove, per promuovere questa vicinanza. Tutto ciò mi sembra vada nella direzione dell’avvertenza che Dio non ci abbandona. Tale vicinanza va in direzione della consapevolezza che Dio, che pure sta nella prova con noi, non ci sta abbandonando.

La vicinanza a Dio è attraverso la confessione, la comunione, la benedizione. Come si può supplire a questa assenza, all’impossibilità di farlo?

Sì, con alcuni vescovi della Lombardia abbiamo visto emergere questa esigenza, soprattutto qui, a partire da un’esperienza molto concreta e dolorosa. Qui le morti si moltiplicano, crescono. Questa situazione non riguarda più soltanto i malati, che speriamo possano superare la loro condizione, ma coloro che muoiono e sono tanti. Non si sa più dove metterli. Vengono utilizzate alcune chiese. Tutto questo è accompagnato da sentimenti profondi. Mi ha telefonato un sacerdote che ha perso il suo papà; lui è in quarantena, come la mamma, da sola, in un’altra casa. E anche i suoi fratelli sono in quarantena. Non si fa alcun funerale: verrà portato al cimitero e sepolto, senza che nessuno possa partecipare a questo momento della pietà umana e cristiana che si rivela adesso così importante proprio perché viene a mancare. Alla luce di questi sentimenti, del fatto che molte persone vedono il loro caro partire e poi, nel momento in cui si entra in una corsia di ospedale, non riescono più a raggiungerlo, si avverte anche il fatto di dire: ma siamo proprio soli, tutti sono soli? Allora ci siamo rifatti a quello che la dottrina cristiana ci dice e che con parole più precise viene chiamato votum sacramenti ed è “il desiderio”: io desidero il perdono del Signore ma non sono nella condizione di poterlo ricevere in questo momento, nemmeno i fedeli che stanno bene, perché non possiamo più frequentarci; quindi, io mi metto davanti a Dio con un vero pentimento, con un atto di fiducia e di amore verso di Lui, confesso a Lui il mio peccato e chiedo il perdono con le preghiere che ci sono più familiari e più conosciute. La Chiesa dice che avendo il proposito, poi, di confessarsi sacramentalmente appena possibile, io ricevo il perdono di Dio. Ecco, volevo ricordare ai fedeli questa possibilità. Non possiamo nemmeno più dare l’unzione agli infermi: i sacerdoti nelle parrocchie cercano di avvicinare i malati ma c’è la preoccupazione di non portare il virus insieme con il Signore Gesù, quindi c’è anche un po’ di prudenza. A questo punto abbiamo detto: ma perché un battezzato non può compiere un segno cristiano su coloro che sono malati? Cominciando da quelli che sono in famiglia, i figli, i nipoti, benedicono i propri nonni, i propri genitori. Compiono così un segno di fede per loro. La stessa cosa l’abbiamo suggerita agli operatori sanitari che lavorano sia nelle case di riposo, dove pure la situazione è molto delicata, sia nelle corsie degli ospedali.

Come pensa che l’umanità uscirà da tutto questo? Quale sentimento si fortificherà, quale aspetto dell’animo umano uscirà vincente da tale prova?

Mi sembra che in questo momento cresca una condivisione non superficiale. Può essere che quando sarà vinta questa battaglia si ritorni come prima, può essere, si tratta di fare una scelta. Posso dire che adesso molte persone avvertono e intuiscono ciò che avevamo dimenticato: noi ci siamo condannati in questi anni a una specie di autoisolamento, ognuno pensava per sé. In questo momento dove viviamo l’isolamento imposto, ci rendiamo conto di quanto sia necessaria la condivisione. Io spero che questo rimanga.

di Francesca Sabatinelli

16 marzo 2020

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