Il sacerdote ambrosiano e medico internista, racconta la scelta che lo porterà nei prossimi giorni ad assistere i contagiati di Coronavirus presso l’ospedale di Busto Arsizio.
Propongo una ipotesi in merito ai diversi stili strategici di gestione dell’epidemia adottati in Europa e altrove. Sottolineo che si tratta di una pura ipotesi, perché per sostanziarla ci vogliono competenze e informazioni statistiche, epidemiologiche, economiche che non possiedo e non si improvvisano. Sono benvenute le critiche e le obiezioni anche radicali.
La Cina mira a mettere le mani sui Paesi del Sud Europa. E la conquista dell’Italia è quasi fatta. Ne pagheremo però un caro prezzo.
La debolezza della società è la fragilità delle appartenenze. Ci convince che la libertà sia assenza di legami. Rileggendo “Delitto e Castigo”.
Sempre più frequente si fa ricorso alla parola «guerra». L’ha usata Macron nel suo discorso alla nazione, la ripetono i politici, i giornalisti e i commentatori, la scelgono i medici. «Siamo in guerra», «è come una guerra», «prepariamoci alla guerra». Ma non è così, non siamo in guerra. Siamo nel mezzo di un’emergenza sanitaria e presto anche economico-sociale, drammatica al pari di una guerra ma sostanzialmente diversa e che merita di essere considerata nella sua specificità.
Tra le vittime del coronavirus, in aggiunta ai nostri oltre 2.000 connazionali che l’hanno contratto e sono purtroppo morti nel giro di pochi giorni, non c’è solo un’economia a tutti gli effetti paralizzata, ma anche un sistema sanitario che, essendo al collasso, è costretto a rimandare tutto ciò che non è strettamente necessario; e per ciò che non è strettamente necessario s’intendono non solo gli interventi chirurgici – in molti casi proprio impossibili, data la conversione delle sale operatorie in reparti di terapia intensiva – , ma addirittura le chemioterapie.
Mentre riguardo alla presenza nel momento della morte siamo impotenti, come pure che le bare siano sigillate per motivazioni igieniche, io credo che di fronte alla sospensione dei funerali con relativa Messa potremmo fare qualcosa di più.
Al via con una dotazione di 4 milioni di euro: 2 li mette il Comune. La sfida: evitare che l’emergenza sanitaria diventi crisi sociale. Un aiuto anzitutto per i lavoratori più fragili e senza tutele.
A preoccupare è l’impiego disinvolto della narrativa bellica da parte dei governi per descrivere l’attuale emergenza. «Siamo in guerra contro un nemico invisibile»
Ecco cosa pensano 2500 persone con sindrome di Down, tra i 14 e i 65 anni su felicità, lavoro, consapevolezza. Oggi è la Giornata mondiale dedicata a loro.