Ecco cosa pensano 2500 persone con sindrome di Down, tra i 14 e i 65 anni su felicità, lavoro, consapevolezza. Oggi è la Giornata mondiale dedicata a loro
“In questo momento di emergenza, i più fragili rischiano di essere lasciati indietro e scontare nuove diseguaglianze“, avverte Antonella Falugiani, presidente di CoorDown Odv- Oggi nel mondo si celebra la Giornata 2020 della sindrome di Down. I risultati della ricerca internazionale “It’s My Say” (“Ora parlo io”) mostrano il terzo millennio globalizzato visto da 2500 persone con sindrome di Down, tra i 14 e i 65 anni. Ecco cosa pensano su alcuni temi cruciali come felicità, lavoro, consapevolezza, diritto al voto. “La scelta di raccogliere la voce e i desideri delle persone con sindrome di Down è un modo concreto per sostenere l’autodeterminazione e la “self advocacy” e metterle effettivamente al centro delle decisioni che influenzano le loro vite- spiega Antonella Falugiani-. Le opinioni e le aspirazioni delle persone con sindrome di Down ci raccontano una realtà complessa che sfata false credenze e stereotipi“. La scelta della data 21 marzo non è casuale: la sindrome di Down, detta anche Trisomia 21, è caratterizzata dalla presenza di un cromosoma in più- tre invece di due- nella coppia cromosomica numero 21 all’interno delle cellule.
Autonomia
Su 2544 intervistati solo il 6,9% pensa che la sindrome di Down sia una malattia, una delle convinzioni errate che ancora vanno combattute. “Come quella che porta a pensare ancora troppi nella nostra società che il lavoro per le persone con sindrome di Down sia un passatempo o un eterno stage, la stragrande maggioranza invece aspira a trovare la propria autonomia e a sperimentarsi in campi creativi e impegnativi– puntalizza Antonella Falugiani-. Le persone che hanno partecipato all’indagine fanno parte di percorsi di inclusione messi in campo dalle associazioni in tutto il mondo e dimostrano quanto sia forte l’impatto sociale dei progetti realizzati fin dall’infanzia sul vissuto delle persone con sindrome di Down”. Una spinta ulteriore per ricordare nella Giornata mondiale quanto sia importante rendere sempre più protagoniste le persone con sindrome di Down e tenere presenti i loro diritti e le loro esigenze.
La ricerca della felicità
Il benessere di una persona dipende dall’inclusione nella società e dalla possibilità di esercitare i propri diritti: una scuola di qualità, l’opportunità di lavorare, il diritto di amare, la possibilità di vivere in autonomia, come chiunque altro. Parlare di felicità significa comprendere e affermare che tutti hanno diritto di essere felici e che la vita delle persone con sindrome di Down è una vita possibile, a volte difficile, ma anche felice e soddisfacente laddove venga riconosciuto per ciascuno il diritto di esserci e contare. Alla domanda se sono felici e che cosa rende piena la loro vita il 71% afferma che è felice della propria vita. Con diverse risposte multiple a disposizione il campione intervistato rivela che il 91% dichiara che per la sua felicità sono importanti la famiglia e la presenza di amici. Per il 77% essere felice si associa alla possibilità di vivere un amore. Il 53% afferma che sono studio e lavoro i fattori determinanti della sua felicità.
Il lavoro come valore
Per le persone con sindrome di Down il lavoro è importante come per chiunque. Significa diventare indipendenti, avere un proprio reddito e decidere come spenderlo, poter organizzare la propria vita adulta, oltre che dimostrare le proprie competenze e costruire relazioni sociali. Assicurare pari diritti e opportunità nel lavoro a tutte le persone con sindrome di Down vuol dire dare loro la possibilità di costruirsi il futuro. Cosa pensano quindi del lavoro? Tra quelli che lavorano, il 76% afferma che gli piace molto il proprio lavoro, il 64% sta molto bene con i colleghi, ma solo il 17% frequenta i colleghi fuori del lavoro. Tra quanti non lavorano: l’81% dichiara che vorrebbe molto lavorare. Tra le professioni che venivano proposte: il 30% vorrebbe lavorare nello spettacolo, il 28 % in un ristorante/bar, il 16% in un ufficio, il 12% nella moda, il 9% in una fattoria e un altro 9% in un magazzino o negozio.
Abbattere i pregiudizi
Abbattere stereotipi e pregiudizi e lavorare davvero per una piena inclusione vuol dire prima di tutto dare l’opportunità alle persone con sindrome di Down di prendere coscienza di se stessi, poter conoscere e riconoscere le proprie caratteristiche e specificità. Uno dei luoghi comuni più ricorrenti è che le persone con sindrome di Down non sappiano di avere una disabilità intellettiva, invece il 71,7% degli intervistati è consapevole della sindrome di Down e addirittura il 39,6% sa che è una condizione genetica, il 24,2% la considera una caratteristica e solo il 6,9% pensa sia una malattia. La promozione della cultura della diversità parte dalle famiglie e nella propria comunità: le persone con sindrome di Down sono tanto più serene quanto le persone intorno a loro accettano le loro caratteristiche e ne parlano senza paure e reticenze.
21 marzo 2020
“Nell’emergenza sanitaria i Down rischiano nuove disuguaglianze”