TESTIMONI – Don Fabio Stevenazzi: «Il dovere di mettersi a servizio, facendo di più»

By 21 Marzo 2020Coronavirus

 

Il sacerdote ambrosiano e medico internista, racconta la scelta che lo porterà nei prossimi giorni ad assistere i contagiati di Coronavirus presso l’ospedale di Busto Arsizio

«Forse sono un attrezzo un po’ arrugginito, ma sento di poter dare il mio contributo, magari anche per smuovere altri a fare lo stesso anche se sono, comprensibilmente, intimoriti. Nasce tutta da qui, dalla consapevolezza dell’essere sacerdote e medico e, quindi, di doversi mettere a servizio nel momento dell’emergenza del Coronavirus, la sua scelta maturata, apprendendo dai giornali, che anche ex-colleghi «con i quali avevo studiato al “San Matteo” di Pavia, sono diventati volontari a Codogno».
Don Fabio Stevenazzi 48 anni tra due settimane, sacerdote ambrosiano classe 2014, da 6 mesi impegnato nella Comunità pastorale “San Cristoforo” a Gallarate, medico dal 1997, racconta con semplicità la sua decisione. «Finché ho potuto – spiega – ho visitato malati e anziani nelle loro case per portare conforto spirituale e pregare, ma ho pensato che, forse, potevo fare di più».

Allora cosa è successo?

Il vicario episcopale di Zona, monsignor Giuseppe Vegezzi e il prevosto di Gallarate, don Riccardo Festa, – al quale avevo manifestato questo mio desiderio -, ottenendo il parere favorevole dell’Arcivescovo, si sono detti d’accordo. Ho, dapprima, inviato il mio curriculum a un primario dell’ospedale di Gallarate che è mio parrocchiano. L’Ufficio delle risorse umane dell’Asst “Valle Olona” ha individuato nell’ospedale di Busto Arsizio il luogo che presentava maggiore necessità. Allora, come prevede il bando di Regione Lombardia per l’assunzione immediata, vista la crisi, ho provveduto a inoltrare l’autocertificazione della mia laurea, il mio curriculum di studi universitari, comprendente anche la specializzazione quinquennale in Medicina interna. L’Asst ha subito recepito la domanda.

Quindi sarà operativo, a breve, appena la chiamano?

Ho reiterato la mia richiesta lunedì scorso – scusandomi dell’insistenza con il mio parroco e il vicario di Zona – facendo presente che non si trattava più di andare a Codogno, ma a 300 metri da casa mia, cioè a Busto Arsizio, presidio abilitato a diventare operativo per i contagiati di Covid-19. Ho fatto gli esami del sangue pre-assunzione e ho conosciuto il primario dell’ospedale di Busto dove sono stato destinato.

Ha già visitato la struttura?

Sì. Per 4 ore ho partecipato all’addestramento, apprendendo le procedure per il biocontenimento e la salvaguardia personale e dei colleghi. Ho persino montato un respiratore. Ritengo che verrò chiamato di fatto, nel reparto dei pazienti critici, tra il pomeriggio di lunedì 16 o il giorno successivo.

Non ha paura di non essere aggiornato come medico?

Ho esercitato la professione dal 1997 al 2008 come internista, tuttavia, mi sono sempre tenuto aggiornato in medicina con tutti i relativi crediti formativi, come peraltro hanno voluto da sempre i miei superiori. Inoltre, nel 2017 l’Arcivescovo, quando era ancora vicario generale, mi ha chiesto di collaborare con il “Cuamm-Medici con l’Africa”, per cui, nei mesi estivi del 2018, sono stato in Etiopia e, nel 2019, in Tanzania.

Crede che questa sua scelta creerà qualche problema alla parrocchia?

No. Si è deciso che vivrò da eremita nel mio appartamentino nella Casa parrocchiale, senza vedere nemmeno i confratelli. Celebrerò l’Eucaristia da solo e, per questo, ho già approntato tutto il necessario nel mio salotto.

di Annamaria Braccini

Don Fabio Stevenazzi: «Il dovere di mettersi a servizio, facendo di più»