La visita due giorni fa di Giuseppe Conte nel “Nord infetto”, consente di mettere in luce un aspetto dell’emergenza epidemica finora rimasto stranamente sotto traccia ma che invece avrebbe dovuto essere centrale nel dibattito politico e sociale.
Abitavano a Milano, Monza e Jesolo e lavoravano nei reparti Covid dove si muore di più. Non sappiamo, per ciascuna di loro, cosa abbia motivato il gesto estremo, ma è urgente chiedersi quale fragilità profonda – di tutti noi – stia evidenziando e colpendo il coronavirus.
«Questo è, in senso biblico, un momento realmente apocalittico, che chiama a un giudizio sul nostro tempo». Se l’esito però sembra abbastanza scontato, di fronte agli scenari disastrosi ai quali il nostro mondo sembra averci condotto, sia pure sotto i colpi di una crisi inedita, la previsione sul futuro rimane tutt’ora un esercizio fin troppo arbitrario. Per questo Mauro Magatti, sociologo, docente all’Università cattolica di Milano, scrittore, preferisce avvertire che ci troviamo semmai di fronte a una situazione nella quale tutti le possibilità sono aperte e sarebbe opportuno tenere a mente l’insegnamento di Romano Guardini, la consapevolezza che non esistono mai soluzioni definitive ma equilibri da cercare fra tensioni costanti. Il che presuppone un solo indispensabile strumento: la riscoperta del senso autentico della libertà.