La pandemia di Coronavirus ha fatto inceppare gli ingranaggi del business dell’utero in affitto. I bambini nati da madri surrogate e commissionati da ricche coppie sia etero che omosessuali non possono essere consegnati al committente, a causa della chiusura delle frontiere nazionali, sancita da quasi tutti gli Stati del mondo, come risposta per il contenimento del Covid- 19.
Sono pochi infatti i Paesi dove la legislazione consente questa barbara pratica e ancora meno sono quelli in cui la maternità surrogata può essere sfruttata dietro compenso economico. Le cliniche della fertilità che gestiscono questo business operano quasi tutte in Ucraina, Stati Uniti e Canada, non più in India dove lo scorso anno il parlamento ha vietato l’uso “commerciale” della maternità surrogata. Quindi per ritirare la “marce” devi recarti in questi Paesi.
Succede però che con i confini chiusi e il trasporto aereo fermo, in questi due mesi di lockdown centinaia di bambini non sono stati raggiunti dalle coppie che, prima della quarantena, hanno acquistato il pacchetto tutto compreso dell’utero in affitto, che può arrivare a costare anche 150 mila dollari, a seconda della qualità dell’ovulo e del madre surrogata portatrice (i due servizi sono sempre riferibili a persone diverse, proprio per evitare che la surrogata rivendichi diritti di maternità sul bambino).
Alcune storie sono finite sulla stampa internazionale, come quella di James Washington e del suo compagno Rob, che sono rimasti bloccati negli Usa con un bimbo di pochi giorni. Il Guardian fa sapere che in circostanze normali, la coppia avrebbe richiesto un passaporto americano per il figlio, lo avrebbero portato a casa e fatto domanda di riconoscimento attraverso i tribunali britannici. Ma ora non possono ottenere il passaporto americano e l’ufficio passaporti britannico non rilascia documenti di viaggio di emergenza poiché la legge britannica non riconosce il bambino come cittadino britannico.
Sempre negli Stati Uniti una donna dell’Oregon, Shandi Phelps, ha deciso di tenere con lei il piccolo che partorirà, per tutto il tempo necessario, senza ricevere compenso aggiuntivo dalla coppia di cinesi che gliel’ha commissionato. E ancora, Sophie Labaune-Parkinson, una donna francese, e suo marito, australiano, hanno raccontato a Le Parisien il loro dramma di non poter essere vicino alla loro bimba quando nascerà, in Ucraina. Simile la vicenda di Ishem Sanchez e di suo marito Stéphane che non potranno raggiungere la bambina che sta per nascere negli Stati Uniti.
Il caso più emblematico e sconvolgente è quello dei 46 i bambini ucraini, che in attesa delle coppie committenti straniere, sono stati messi in un hotel di Kiev, con alcune stanze allestite a reparto nido. La giornalista del Corriere e attivista femminista Monica Ricci Sargentini insieme alla Rete Italiana contro l’Utero in Affitto, hanno una lettera all’ambasciatore italiano in Ucraina in cui si chiede “di verificare le effettive condizioni di salute dei bambini e quanti e chi siano gli italiani clienti di Biotexcom e di altre cliniche”.
Nel messaggio si sottolinea che la gestazione per altri in Italia è un reato e che pertanto non deve essere “concesso alcun permesso speciale, in deroga al lockdown, per recarsi a “ritirare” i bambini”.
Tutte queste vicende aggiungo disperazione ad un atto di per se profondamente ingiusto ed egoistico. I bambini nati da madre surrogata vengono infatti allontanati dalla partoriente subito dopo la nascita, per evitare che tra i due soggetti si creino legami affettivi e biologici. In queste circostanze questo brutale distacco non può avvenire per l’impossibilità di consegnare il “prodotto” alla coppia che lo ha ordinato. Il successivo allontanamento sarà quindi ancora più doloroso e traumatico per il bambino.
Questo perché vivere nove mesi nell’utero di nostra madre non è un fatto indifferente, c’è una comunione fisica, biologica ed emozionale. Non ci passa solo le sostanze per vivere, ma anche ormoni e serotonina che influenzano il nostro cervello. Il legame fetale è di fondamentale importanza e l’allattamento lo rafforza ancora di più.
Tutto questo non sembra però scalfire il fronte politico e sociale che si batte per la legalizzazione della pratica. Nel mezzo della pandemia, lo scorso aprile, lo Stato di New York, guidato dai democratici, ha approvato un emendamento che fa cadere il bando all’utero in affitto dietro compenso. Dal 15 febbraio 2021 anche nello Stato di New York sarà possibile pagare una donna per avere un figlio.
In Italia invece la Corte Costituzionale è stata chiamata ancora una volta dalla Cassazione a decidere sulla costituzionalità della legge che nega il riconoscimento anagrafico ai bambini delle coppie omosessuali nati da maternità surrogata, sanzionata penalmente nel nostro Paese. La Corte già si è espressa più volte su questo tema evidenziando “l’elevato grado di disvalore” della pratica che “offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane”. Speriamo che i giudici della Consulta sappiano esprimersi di nuovo con questa chiarezza.
Maggio 11, 2020
Utero in affitto, quando il legame materno è messo in vendita