L’emergenza Covid 19 ha prodotto una serie di interventi unilaterali statali in materia liturgica, con normative di carattere speciale, spesso di rango secondario, che hanno creato non pochi problemi nei rapporti fra Stato e Chiesa regolati dai Patti Lateranensi del 1929, richiamati dall’art. 7 della Costituzione e dal successivo Accordo di Villa Madama del 1984 [1]. Tali ripetuti interventi hanno messo in luce alcuni limiti del sistema concordatario [2] che andrebbero esaminati e approfonditi, ma questo non è lo scopo di questa riflessione. Dopo due mesi di tensioni si è giunti a una sorta di accordo “bilaterale”, ammesso che di effettiva bilateralità sia lecito parlare.
1.Il Protocollo
Il 7 maggio 2020 il Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero dell’Interno ha divulgato il testo di un “Protocollo riguardante la graduale ripresa delle celebrazioni liturgiche con il popolo”, in “applicazione delle misure di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da Covid – 19 previste dal d.p.c.m. 26 aprile 2020”.
Il Protocollo è stato sottoscritto dal card. Gualtiero Bassetti, nella qualità di presidente della C.E.I., dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte e dal Ministro dell’Interno Luciana Lamorgese. In questo strumento viene contemplata la graduale ripresa delle celebrazioni liturgiche con il popolo a partire dal 18 maggio 2020 (il che è effettivamente avvenuto), “nel rispetto della normativa e delle misure di contenimento dell’emergenza epidemiologica da COVID 19”. Ciò per tutti i sacramenti, con espressa esclusione della Cresima e non menzione dell’Ordine Sacro, e solo a determinate condizioni: accesso individuale in chiesa contingentato, uso di mascherine da parte dei fedeli, di mascherine e guanti da parte del celebrante, rispetto della distanza di sicurezza pari ad almeno mt. 1.5, igienizzazione dei luoghi, dei vasi sacri e delle ampolline, omissione dello scambio del segno di pace, distribuzione della Comunione senza che le mani del celebrante vengano a contatto con quelle dei fedeli, amministrazione del sacramento della Penitenza in luoghi ampi ed areati, e così via.
- Alcuni interrogativi
Si tratta di un primo passo verso il ritorno alla normalizzazione delle cerimonie liturgiche: come tale, va accolto con favore.
Ma non mancano i problemi, da non tacere pur in spirito di rispettosa e franca ricerca della verità. Vale la pena di porsi alcune domande.
Il Protocollo riguarda le celebrazioni liturgiche “con il popolo” e all’interno delle chiese. Quid iuris nei riguardi di celebrazioni liturgiche sine populo, atteso che occorre comunque rispettare la normativa e le misure di contenimento dell’emergenza epidemiologica da COVID 19? Penso, ad esempio, alla necessità urgente di assicurare il conforto dei sacramenti della Confessione e dell’Unzione degli Infermi a un moribondo nell’estremo momento della morte (non si muore solo di Covid, bensì pure di altre patologie) in abitazioni private, tenuto conto che in esse le visite sono consentite solo ai “congiunti” (termine non giuridico) e per motivi di necessità. Oppure in ospedale. È o non è consentito? E a quali condizioni?
È lecito domandarsi, poi, il perché si sia scelta questa strada [3] e non si siano invece seguite le normali procedure previste dalle intese concordatarie per la revisione di esse e la risoluzione dei problemi che toccano i rapporti tra Stato e Chiesa [4]; quali siano le norme o le prassi che legittimino tale nuovo “modus procedendi; se vi siano precedenti in materia e quali e, comunque, quale significato giuridico va attribuito al nuovo modello.
Scendendo nel dettaglio del Protocollo ed esaminando alcuni articoli, l’art. 4.1 stabilisce che “sarà cura di ogni Ordinario rendere noto (sic) i contenuti del presente Protocollo attraverso le modalità che [ne] assicurino la migliore diffusione”. Questa disposizione pone un onere di comunicazione a carico degli Ordinari locali, mentre l’art. 2 co. 2 dell’Accordo di revisione del Concordato del 1984 assicura “la reciproca libertà di comunicazione e di corrispondenza fra la Santa Sede, la Conferenza Episcopale Italiana, le Conferenze Episcopali regionali, i Vescovi, il clero e i fedeli, così come la libertà di pubblicazione e diffusione degli atti e documenti relativi alla missione della Chiesa”. Le due norme sono in contrasto?
Venendo alle disposizioni che regolano minuziosamente il modus celebrandi (art. da 1 a 3), se è vero che esse sono adottate congiuntamente dalle Parti, è pur vero che nella loro elaborazione ha avuto parte lo Stato. Trattandosi, in buona sostanza, di atti interni dell’autorità ecclesiastica e di sua stretta competenza, il fatto che nella loro elaborazione ed emanazione vi abbia concorso l’autorità civile non costituisce un pericoloso precedente?
E ancora, dal punto di vista del diritto canonico le Conferenze episcopali non hanno una potestà normativa originaria, bensì derivata dai singoli Ordinari diocesani che ne fanno parte. Quale valore attribuire, quindi, a un Protocollo sottoscritto dal vertice della C.E.I. che vincola l’intero corpo episcopale italiano?
E che dire della Nota del Ministero dell’Interno del 13 maggio, indirizzata al card. Bassetti, con la quale si comunica che il Comitato tecnico-scientifico “approva il documento [del 7 maggio], raccomandando che, per le cerimonie religiose da svolgere nei luoghi di culto chiusi (…) il numero massimo di persone non superi le 200 unità” e che le “eventuali cerimonie religiose celebrate all’aperto (…) debbano prevedere la partecipazione massima di 1000 persone”? Si tratta non di una interpretazione ma di una determinazione, come si evince dalla chiusa del documento: “Di ciò, si porta a conoscenza l’Eminenza Vostra ai fini della predisposizione delle necessarie misure di sicurezza cui ottemperare in vista della ripresa delle celebrazioni liturgiche con il popolo”. Significa che il Ministero si riserva la facoltà di modificare unilateralmente i termini del Protocollo, peraltro con semplici atti amministrativi?
Quanto potrà durare questa situazione di emergenza? Il testo non lo dice. Cosa succederà in seguito? Neppure questo è specificato. Non sarebbe stato più opportuno, pertanto, ricorre ai diversi strumenti giuridici, dal quadro più ampio, come sopra detto?
- Verso un nuovo giurisdizionalismo?
Taluno ha parlato di un nuovo giurisdizionalismo, una sorta di “giurisdizionalismo sanitario” [5], che desta preoccupazione. Il giurisdizionalismo, infatti, è quella particolare politica ecclesiastica volta ad estendere la giurisdizione e il controllo dello Stato sulla vita e sull’organizzazione delle Chiese, che si sviluppò attorno al Settecento in ambito illuministico.
Se a ciò si aggiunga che questa tendenza si inserisce in quell’altra, altrettanto pericolosa, che ha indotto alcuni a parlare di superpotere dell’Esecutivo rispetto al Parlamento, e di superamento della democrazia parlamentare costituzionale [6], il quadro inquieta non poco.
Stefano Nitoglia
2 giugno 2020
[1] Sul tema, tra gli altri cfr. il mio Perché è in questione la libertà religiosa, 27.03.2020, consultabile su https://www.centrostudilivatino.it/perche-e-in-questione-la-liberta-religiosa/
[2] Sui limiti dei Concordati, cui la Chiesa ricorre quando si sente in posizione debole di fronte al potere dello Stato cfr. A. Rhodes, Il Vaticano e le dittature. 1922-1945, Mursia, 1973. V. in particolare, la Presentazione di G. Bianchi. A proposito del Concordato del 1929 tra la Santa Sede e il Regno di Italia, il giudizio di uno dei suoi negoziatori, il cardinale Domenico Tardini, inizialmente favorevole, a distanza di cinque anni dalla sua stipula si fece più critico: “Ma fu davvero vantaggioso il Concordato (…)? L’esperienza avrebbe dovuto insegnare qualcosa: tutti i concordati sono destinati ad essere trasgrediti ed a cadere”. Domenico Tardini. Diario di un Cardinale (1936-1944). La Chiesa negli anni delle ideologie nazifascista e comunista, a cura di Sergio Pagano, Edizioni San Paolo, 2020, p. XXVI.
[3] In diplomazia il Protocollo è uno strumento diplomatico destinato ad attestare il raggiungimento di un accordo internazionale.
[4] Le forme di revisione contemplate dall’Accordo di Villa Madama del 1984 (art. 13, co. 2, e art.) sono: a) nuovi accordi tra la Santa Sede e la Repubblica italiana, b) intese tra le competenti autorità dello Stato con la Cei; c) nomina da parte della Santa Sede e della Repubblica italiana di una commissione paritetica “ad hoc”.
[5] “Quelle del protocollo ministeriale sono precauzioni opportune, non c’è che dire, ma il fatto che vengano scritte nero su bianco dal Governo (per quanto con l’accordo della CEI) fa venire in mente i classici modelli del giurisdizionalismo, quando era il potere civile a indicare all’autorità ecclesiastica come fare per adempiere al meglio, nel comune interesse, alle sue funzioni. Questo revival non è un fenomeno del tutto isolato, perché il binomio «controllo dello Stato» e «cooperazione delle confessioni religiose», che è l’essenza del giurisdizionalismo, ad avviso di alcuni studiosi sta riemergendo nelle società europee già in altri settori e per altre ragioni[; una sua estensione, pertanto, sarebbe agevolata da quei precedenti. Per tornare al caso specifico, si può forse ritenere che l’emergenza abbia fatto convergere lo Stato e la Chiesa verso una sorta ‘giurisdizionalismo sanitario’ che, in altri momenti, la Chiesa non avrebbe accettato”. Così A. Tira, “Libertà di culto ed emergenza sanitaria: il protocollo del 7 maggio 2020 concordato tra Ministero dell’Interno e Conferenza Episcopale Italiana”, in “Giustizia insieme”, 16 maggio 2020, consultabile su www.giustiziainsieme.it
[6] F. Rimoli, Il Coup d’État come modalità di adattamento sistemico: qualche considerazione su una forma peculiare di transizione costituzionale, in www. costituzionalismo.it, n. 1/2014, 31 marzo 2014, p. 16. L. Ferrajoli, La democrazia attraverso i diritti. Il costituzionalismo garantista come modello teorico e come progetto politico. Laterza, 2013, 158.
Il Protocollo per la ripresa delle celebrazioni col popolo: verso un nuovo giurisdizionalismo?