Bisogna precipitare nel buio afghano, tra donne che allattano orfani scampati alla carneficina, per vedere quello che tutti i riflettori accesi sui neonati in attesa dei committenti a Kiev nascondono.
Firooza Omar è una madre di Kabul, sta allattando il suo bambino quando la tv trasmette le immagini dell’attacco all’ospedale Dasht-e-Barchi. Ha partorito quattro mesi fa e riesce solo a immaginarli, i terroristi che fanno irruzione nel reparto maternità, i pancioni crivellati di proiettili, undici donne uccise in travaglio, tre mentre stavano dando alla luce i loro figli in sala parto. “È è stato un massacro sistematico delle madri”, denuncia Frederic Bonnot, a capo di Medici senza Frontiere che gestisce l’ospedale afghano. “Hanno attraversato le stanze sparando alle donne nei loro letti” spiega, raccontando il massacro di martedì scorso, quando uomini armati hanno fatto irruzione in maternità trucidando donne e bambini: morti due neonati, altri due feriti, morte sedici partorienti, cinque ferite, morta un’ostetrica, tre operatori sanitari feriti. Ventiquattro vittime in tutto.
IL MASSACRO E L’ALLATTAMENTO
Qualcosa scatta in Firooza davanti alle immagini, sconvolgenti, dell’ospedale allagato di sangue e dei soldati che portano fuori bimbi in fasce insanguinate. Psichiatra, 27 anni, la ragazza chiede al marito di occuparsi del loro piccolo e corre all’ospedale di Ataturk dove sono stati ricoverati donne e bambini scampati al massacro. Attraversa la città sventrata dagli ultimi attentati e appena entra in ospedale viente travolta dal pianto disperato di una ventina di neonati che non vogliono saperne di essere allattati al biberon. Le infermiere le chiedono una mano a nutrire i piccoli e la giovane esegue attaccandoseli al seno: uno, due, la prima notte riesce ad allattare quattro neonati, figli di donne massacrate durante l’attentato.
BIMBI “NUTRITI DA PERFETTI ESTRANEI”
E così nei giorni seguenti: Firooza allatta il suo bimbo a casa e gli orfani in ospedale, racconta sui social cosa sta facendo, chiede ad altre madri di seguire il suo esempio. E le madri rispondono all’appello. Racconta la Bbc che oggi diverse donne raggiungono Ataturk per allattare e prendersi cura di questi neonati. Chi non può allattare ha raccolto fondi per comprare pannolini, latte in polvere e biberon. Un gesto d’amore che per molti giornali rappresenterebbe l’alfa e l’omega delle esistenze dei figli della carneficina, non fosse per le parole reali e terribili della stessa Firooza che davanti a quei bambini è capace di dire ai giornalisti la verità: “Invece di essere al sicuro tra le braccia delle loro madri, questi neonati sono soli in un ospedale, nutriti da perfetti estranei”.
L’ELEGANZA DELL’INFERNO DI KIEV
Bisogna precipitare nell’inferno criminale di Kabul, ascoltare il pianto disperato di un bimbo brutalmente sottratto a sua madre per riconoscere la nuda e cruda verità? Ce lo chiediamo dopo aver visto le immagini altrettanto sconvolgenti di altri bambini ammassati lontano da chi li ha messi al mondo. Niente fori di proiettile sul soffitto, ma lampadari di cristallo, niente lettini di ferro ma cullette trasparenti, niente fasce insanguinate ma palloncini, orsacchiotti, peluche, non c’è un ospedale ma un hotel stellato. “Buongiorno cari genitori, mi chiamo Marina – spiega l’amministratrice dell’hotel Venezia di Kiev dove la Biotexcom, colosso della maternità surrogata in Ucraina, ha stipato 46 neonati commissionati da cittadini europei, tra i quali molti italiani -. I vostri bambini sono monitorati giorno e notte dalle nostre babysitter nella stanza materna. Ogni giorno le tate passeggiano con loro all’aria aperta e li lavano. Ci spezza il cuore questa situazione, ma speriamo che a breve i genitori possano arrivare dai loro figli”.
IL MERCATO INCONTROLLATO DEI BAMBINI
Eggià il cuore. Come in un catalogo le immagini dei bambini, giuridicamente figli di nessuno, agghindati come balocchi e musica sentimentale d’ordinanza in sottofondo, scorrono sullo schermo, mentre l’avvocato della clinica Denis Herman sollecita i clienti a rivolgersi ai ministeri degli Esteri dei rispettivi paesi perché richiedano al governo ucraino un permesso speciale in deroga alle regole del lockdown per recarsi a ritirare i neonati. “In Ucraina il re è nudo” scrive la brava Monica Ricci Sargentini che sul Corriere ha denunciato subito e a più riprese il caso dell’hotel Venezia e la crescita del numero dei bimbi in attesa di essere ritirati in quel paese che è diventato il “negozio online per la vendita incontrollata di bambini”: “Sono circa cinquanta le cliniche in Ucraina che offrono servizi di Gestazione per altri a prezzi imbattibili rispetto agli Stati Uniti: tra i 40 mila e i 65 mila euro contro i 150 mila dollari degli Usa. La crisi economica ha spinto molte donne ucraine a rendersi disponibili alla pratica. Il loro compenso si aggira sui 30 mila euro”. “Ci sono agenzie come Gestlife che nella tariffa de luxe includono la sostituzione del bambino nel caso ti morisse entro il primo anno di vita”.
LA DURISSIMA CONDANNA DEI VESCOVI
Questi sono solo alcuni dati: il caso, che ingarbuglia norme (in Ucraina la surrogata è permessa, non così nei paesi di origine dei committenti), divieti, storie di famiglie, ha fatto moltissimo rumore; pressato dalla grande mobilitazione di donne, madri, femministe italiane che insieme a Rete contro l’utero in affitto hanno scritto all’ambasciata italiana a Kiev il governo italiano ha negato il nullaosta. Durissima è infine arrivata anche la condanna dei vescovi di rito bizantino e latino di Ucraina contro quella che l’arcivescovo maggiore Sviatoslav Shevchuk, parlando con Aci Stampa, ha definito “un doppio crimine”, contro la dignità della donna e contro i bambini oggetto di traffico”, segregati “in moderne incubatrici, privati del tocco materno, del calore dei genitori, della cura gratuita e del necessario amore”, mostrati come “un prodotto acquistato per acquirenti che non si erano presentati”. Una condanna senza mezzi termini che spoglia del cotone idrofilo del sentimento tutta la vicenda: i vescovi chiedono la cessazione immediata dell’aberrante pratica dell’utero in affitto parlando di “dignità umana calpestata, “violazione dei diritti umani”, “vergognoso fenomeno”, “contratti di schiavitù”.
I FIGLI DELLA GUERRA E QUELLI DELLA SURROGATA
In Afghanistan Firooza allatta su una seggiola di plastica un bimbetto seminudo davanti a un bidone dell’immondizia nei corridoi di un ospedale. Guarda il piccolo che ha in braccio e vede quello che tutti i lampadari, le telecamere e i video accesi nell’elegante nursery dell’hotel Venezia non sono riusciti a mostrare a chi oggi scandalizzato grida all’attentato della libertà genitoriale e al diritto al figlio a tutti i costi. Firooza guarda il bambino scampato, lui sì, da un attentato e ci vede quello che è: un figlio solo, nutrito con amore ma da un’estranea, sacrificato a una ideologia così violenta da ridurre in brandelli la sua esistenza umana e la carne e il corpo di chi lo ha messo al mondo.
Caterina Giojelli
19 maggio 2020
Il sangue delle madri di Kabul e la cruda verità sui figli della surrogata