E’ un’accusa contro l’ipocrisia dei Paesi dove l’utero in affitto è vietato in patria ma consentito all’estero il caso dei bebè ordinati da coppie anche italiane ma che nessuno può andare a ritirare.
Erano 46 venti giorni fa, ora sono già 60. E un parto dopo l’altro potrebbero diventare presto 100, si dice addirittura mille nel giro di sette mesi. Tutto dipende da quanto durerà il lockdown in Ucraina: se il premier Denys Shmygal ha annunciato ieri un primo allentamento per domani, ancora non è chiaro quando riaprirà le frontiere consentendo il ritiro delle decine di neonati da parte delle coppie straniere che li avevano commissionati alla Biotexcom, azienda specializzata in maternità surrogate, leader incontrastata del settore in Ucraina e non solo. Resta così ancora incerta la sorte dei bebè stipati in un salone dell’hotel Venice di Kiev, l’accogliente struttura di proprietà della stessa Biotexcom dove vengono abitualmente alloggiate le coppie per il disbrigo delle pratiche di consegna della “merce”. Perché di questo si tratta: i bambini stoccati in un salone del grande hotel della capitale sono tutti nati da utero in affitto, su ordinazione di coppie di 14 Paesi (Italia inclusa), separati dalla madre biologica come da contratto dopo il pagamento del suo onorario (15–17mila dollari) per aver ospitato nel proprio grembo il bambino concepito in laboratorio con un ovocita – suo o comprato da una donatrice – e il seme dell’uomo parte della coppia committente (eterosessuale, secondo la legge ucraina). Il video con le decine di culle dentro l’hotel, come in una surreale nursery, ha fatto il giro del mondo: e se nelle intenzioni del patron di Biotexcom Albert Tochilovski doveva essere uno strumento di pressione emotiva sui governi dei Paesi coinvolti perché rilasciassero un salvacondotto “umanitario” alle coppie, le immagini dei bebè in batteria, figli di nessuno, strappati alla mamma che li aveva portati in grembo e in attesa di essere consegnati dietro il saldo del conto (più 54 dollari per ogni giorno di mancato ritiro, con uno sconto del 50% concesso dalla ditta) si sono trasformate in una denuncia senza precedenti del commercio della vita umana sotto gli occhi del mondo. Un atto d’accusa anche contro chi ha legalizzato la surrogazione di maternità in patria allo scopo di stroncare questo mercato parallelo estero senza riuscirci (l’Inghilterra) o che – come Italia e Francia – vieta l’affitto del ventre altrui con leggi penali lasciando però che vengano aggirate con una compravendita di figli tollerata perché legale nel Paese di ordinazione del prodotto. E’ così che l’Ucraina si è rapidamente guadagnata una solida leadership, con 14 aziende, 50 cliniche specializzate e 500 nascite attese entro poche settimane (un migliaio prima di fine anno), perché – come si legge nel sito di Biotexcom – «la surrogata più economica d’Europa è in Ucraina, il Paese più povero d’Europa». L’India di quaggiù: la candida ammissione di uno sfruttamento della manovalanza femminile per una prestazione d’opera che ne coinvolge la generatività, lo stesso grembo che dà la vita. Nessuno si indigna?
Fortunatamente sì. Con i suoi imprevedibili effetti, la pandemia ha infatti scoperchiato una serie di meccanismi e di ipocrisie portando alla luce – tra l’altro – anche la vera natura della “gestazione per altri”, come ormai viene definita. I 60 neonati nel limbo di Kiev e la pessima immagine diffusa nel mondo di un Paese al quale certo non serve passare per l’outlet europeo della vita umana sembrano aver scosso la politica ucraina. La garante dei diritti umani del Parlamento, Lyudmyla Denisova, ha denunciato l’esistenza di un’industria «massiva e sistemica» che reclamizza i bambini come «un prodotto di alta qualità» mentre alcuni parlamentari premono perché si voti un bando del commercio di bebè almeno con l’estero. Esplicita anche la condanna della Chiesa ucraina, che in una nota firmata da Sviatoslav Shevchuk, leader dei greco–cattolici, e dall’arcivescovo Mieczyslaw Mokrzycki, presidente ad interim della Conferenza episcopale, he detto che «è difficile immaginarsi una tale manifestazione di disprezzo per la persona umana e per la sua dignità, mentre tutto questo è reso possibile dalla maternità surrogata legalizzata».
Il caso è fonte di imbarazzo per tutti, i Paesi delle coppie committenti attendono che riaprano le frontiere per poter tornare a girarsi dall’altra parte. Ma ora abbiamo visto. E non potrà essere più la stessa cosa.
Francesco Ognibene
21 maggio 2020
https://www.avvenire.it/famiglia-e-vita/pagine/60-figli-di-madri-surrogate-parcheggiati-a-kiev-l-ucraina-ape-gli-occhi-e-l-italia