AVVENIRE – Toghe e urgenti riforme, anche del Csm. Per giustizia e per servizio

By 26 Maggio 2020Attualità

Le grandi crisi non esplodono all’improvviso, hanno radici profonde. Quella che sta investendo la magistratura italiana e in particolare le sue espressioni associative e di autogoverno (l’Anm e il Csm) viene da molto lontano. Non sarebbe esatto, e non aiuterebbe a individuare vie d’uscita, considerare il “big bang” di sabato sera – quando il presidente e il segretario dell’Associazione magistrati hanno dato le dimissioni (ieri “depotenziate”), in seguito a uno scontro interno sulle ultime intercettazioni pubblicate nell’ambito del cosiddetto “caso Palamara” – solo una conseguenza del terribile scossone dell’anno scorso, quando appunto l’inchiesta perugina sui presunti reati della toga romana, già presidente della stessa Anm ed ex consigliere del Csm, portarono a galla le grandi manovre per le nomine ai vertici di alcune importanti procure della Repubblica. Grandi manovre che, come abbiamo già avuto modo di scrivere, possono aver sorpreso soltanto i molto ipocriti o i molto, ma molto distratti.

Torniamo quindi a sabato, che per una beffarda (o provvidenziale) coincidenza era il 23 maggio, giorno dell’anniversario del martirio civile di Giovanni Falcone e degli altri servitori dello Stato che si trovavano con lui in quel nero pomeriggio di Capaci. Giorno simbolico, di dolore e di orgoglio per la nostra magistratura e per tutti gli italiani onesti. Come ogni 23 maggio, Falcone è stato ricordato, celebrato e citato. Nel coro anche alcuni che, quando era in vita, gli rivolsero ingiuste accuse e contribuirono al suo isolamento istituzionale. Ma il nostro, si sa, è un Paese dalla corta memoria. Pochi, per esempio, ricordano che nel 1988 il magistrato siciliano disse: «Le correnti dell’Associazione nazionale dei magistrati, anche se per fortuna non tutte in egual misura, si sono trasformate in macchine elettorali per il Consiglio Superiore. E quella occupazione delle istituzioni da parte dei partiti politici, che è alla base della questione morale, si è puntualmente presentata nell’organo di autogoverno della Magistratura con pesantezza sconosciuta anche in sede politica».

Analisi di una lucidità sorprendente, pronunciata in un momento di grande tensione all’interno di Unità per la Costituzione. Lì c’era già tutto. Trentadue anni fa. Tuttavia, anziché ascoltare quel monito, l’Anm è andata via via ad accrescere il suo ruolo di “parte sociale”. Nella cosiddetta Seconda Repubblica di cui proprio una parte della magistratura fu levatrice con le inchieste Mani Pulite, l’Anm è stata tra i principali interlocutori dei governi, cercando di influire con scioperi e interviste (non di rado riuscendoci) su leggi ordinarie, riforme costituzionali e perfino nomine di ministri.

Negli anni, la preponderanza delle correnti e l’esposizione delle toghe (talvolta trampolino per cariche o incarichi politici) sono diventate tali che sia Giorgio Napolitano sia Sergio Mattarella, da presidenti della Repubblica e quindi del Csm, hanno invitato la magistratura a mettere fine alla «logica di appartenenza» nelle nomine, a evitare il protagonismo mediatico, a recuperare quella compostezza e riservatezza doverose per chi amministra la giustizia. Sorprende perciò che oggi, soltanto oggi, tutti si accorgano della gravità della situazione. Subito dopo l’esplosione della ‘bolla’ di Perugia (che da circa un anno continua a dispensare frutti avvelenati), presiedendo il plenum del Csm, l’attuale capo dello Stato ha esortato con fermezza «a voltare pagina». Non si vedono segnali in tal senso. Anzi, ieri il presidente dimissionario di un’Anm sull’orlo dell’implosione ha lasciato intendere, di fatto, che non c’è alternativa alle correnti.

Eppure una soluzione va trovata, con urgenza. Una riforma elettorale del Csm in senso uninominale sarebbe utile: il ministro Bonafede, che in origine voleva procedere per sorteggio e ora annuncia iniziative di altro segno, saprà certamente che alla Camera giacciono da inizio legislatura ben due proposte di legge presentate dal giurista dem Stefano Ceccanti e sottoscritte da numerosi suoi colleghi. Se si vuol fare, basta ripescarle e, se necessario, lavorarci su. Sarebbe anche l’occasione per dare spazio, finalmente, all’iniziativa parlamentare. Tuttavia, anche tra gli stessi magistrati, c’è chi pensa che sarebbe poco. E propone una revisione radicale del sistema delle carriere: dopo un incarico dirigenziale si torna ‘magistrato semplice’, in una pura logica di servizio e secondo lo spirito della Costituzione. È troppo?

Danilo Paolini

26 maggio 2020

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